I depositi costieri: se ne ritorna a parlare
di Paolo Lingua
Non riuscendo ormai (da vent’anni?) a prendere una decisione concreta, sia pure ragionata e ponderata, riprendono i dibattiti e i confronti sul tema strategico della definitiva localizzazione sui depositi chimici della Superba e della Carmagnani da sempre (la Carmagnani da prima della guerra) a Multedo in mezzo all’abitato del quartiere, anche se molti edifici sono stati poi costruiti in epoca successiva allo stanziamento delle due aziende. Si decolla quindi nelle prossima settimane con un ciclo di incontri e di confronti a cura di un gruppo di lavoro del Di partimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova. Decolleranno nella prima metà di maggio tre incontri telematici organizzati dai municipi di Ponente, di Medio Ponente e di Centro Est. Vi prenderanno parte anche esponenti delle associazioni e dei comitati che in passato si sono interessati alla complessa questione.
Non si tratta, viene precisato, di un “dibattito pubblico” come quello che alcuni mesi fa, l’Autorità Portuale di Genova ha organizzato sulla complessa questione dello spostamento della diga foranea. E, ovviamente, non si andrà verso una decisione operativa, perché poi l’eventuale trasferimento dei depositi chimici dovrà essere preso in accordo con i vertici delle due imprese e con il concorso decisionale dell’Autorità portuale e del Comune di Genova, in coerenza con i piani regolatori. La vicenda è estremamente complessa perché esiste un potenziale pericolo per le abitazioni e le strutture contigue ai depositi. Molti ricorderanno l’esplosione di un deposito a Multedo che, oltre vent’anni fa, causò alcuni morti. Da allora si discute sul complesso “trasloco” ma non è si è mai mosso un passo. In effetti, ogni volta che si formula una ipotesi, sorgevano veti, opposizioni e veti, come del resto è fin troppo comprensibile.
Meno di due anni fa era stata avanzata l’ipotesi una collocazione sotto la Lanterna, ma insorsero molti imprenditori ubicati nella zona. Si accennò a una eventuale collocazione verso Sestri Ponente, ma si disse che la scelta era troppo vicina all’aeroporto. In bilico ancora oggi una ipotesi alla foce del Polcevera, ma anche in questo caso ci sono molti “no” da parte delle associazioni dei residenti. Si era persino parlato d’una collocazione al largo su piattaforme: una maggiora sicurezza per i residenti nei quartieri costieri ma una non facile sistemazione dei depositi. Per questo, l’Autorità Portuale, che è in genere prudentissima nelle scelte strategiche dello scalo, per ora si è mossa con la massima cautela. E, a dirla con chiarezza, un preciso progetto di trasferimento per il momento non c’è. Ora decolla questa analisi che vede impegnati Università, associazioni e municipi coinvolti sul piano territoriale al problema. Può darsi che emergano potenziali progetti che consentano il trasferimento senza coinvolgere rischi per la popolazione. Se da un certo punto di vista questa iniziativa è lodevole sul piano sociale, tutti i dubbi sulla vicenda non si attenuano.
Ci si augura che non sia un ennesimo tentativo di tirare alla lunga ogni decisione, una abitudine che, purtroppo, è peculiare nelle vicende genovesi dove il rinvio a tempo indeterminato sembra una componente fissa del DNA della città e dei suoi abitanti. Genova ha pagato prezzi pesanti per gli infiniti ritardi che hanno caratterizzato opere pubbliche e ristrutturazioni. Inoltre, dal momento che si discute su temi portuali, non sono ancora del tutto chiari (o chiariti) gli aspetti riguardanti la politica portuale contenuti nel Recovery Plan che il governo italiano presenterà all’Europa entro la fine di aprile. Alcune grandi opere (la diga o il Waterfront del Levante) sembrano inseriti in fondi di bilancio ordinario, perché il Recovery sembra semmai coinvolgere questioni di traffico e di trasporti, in particolare in via ferroviaria. Quest’ultimo è certamente un bene importante strategico per il sistema, ancora affaticato, di smistamento delle merci in carico e scarico portuale, ma non se ne comprendono ancora tempi e modi. I punti interrogativi sono tanti e, per la verità, sembrano infittirsi sul piano pratico e operativo. Il metaforico sentiero di marcia va decisamente illuminato per poterci marciare con passo spedito.
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