Governo forte e parlamento fragile?

di Paolo Lingua

4 min, 48 sec
Governo forte e parlamento fragile?

La complessa questione della “legge Zan” che dovrebbe modernizzare e rendere più civile il rispetto – anche sul piano penale – delle differenze di genere sembra destinata a prolungarsi nel dibattito parlamentare dopo le “risse” di ieri in Senato. Ora si parla addirittura di un voto definitivo a settembre. A rileggere, con distacco, lo scontro di ieri si ha la sensazione che una mediazione o un compromesso (o un ripensamento) per il momento non  sia possibile, anche perché il Pd, l’estrema sinistra e il M5s si sono impuntati sulla prima stesura che le aree di centro e di centrodestra trovano troppo categorica e addirittura eccessiva (un po’ come era accaduto al momento della prima sortita da parte della Chiesa Cattolica).

Si tratta d’una posizione ideologica oppure d’una decisione tattica di natura più prettamente politica? E’ tutto – nella dimensione di oggi – molto difficile da capire, anche se la “legge Zan” è giusto che sia approvata perché l’Italia è molto indietro sull’argomento rispetto alle più avanzate democrazie occidentali. Ma non va neppure trascurata, per le le conseguenze di alleanze politiche a livello europeo, la posizione tradizionale e conservatrice del regime di Orban in Ungheria, una realtà politica che molto spesso trova un asse diretto con la destra italiana come la Lega e Fratelli d’Italia (ma non con Forza Italia e con i piccoli movimenti dell’area di centro). La “legge Zan” oscilla in bilico, anche perché potrebbe trovare sul piano del “no”, così come è a tutt’oggi formulata, non solo i partiti del centro (dando per scontato il “no” della destra) e persino Italia Viva. Renzi, infatti, ha ancora nelle ultime ore insistito per trovare il via a una mediazione e rendere più morbido il provvedimento.

Ma, accanto alla diatriba sulla “legge Zan”, emerge, non meno tormentato, il percorso sulla legge che dovrebbe dare il via alla riforma su una larga parte della organizzazione della giustizia e in particolare al processo penale con modifiche all’impiego della prescrizione. Sulla carta il provvedimento messo a punto dal governo, dopo aver sentito i partiti che lo sostengono, sembra avere un più largo consenso. Ma restano in piedi le posizioni contrastanti, di stampo decisamente più giustizialista, della componente dei parlamentari del M5s più vicina all’ex premier Giuseppe Conte. Ed è una posizione singolare, considerato il fatto che la componente del movimento che fa riferimento a Beppe Grillo, ha accolto il provvedimento che, sul piano obiettivo, è assai lontano dalla posizioni iniziali che lo stesso Grillo e i suoi fedelissimi sostenevano.

Ma è evidente che, al di là dell’armistizio in corso, l’ala più vicina a Conte sarebbe volentieri disposta a passare all’opposizione del governo Draghi, riprendendo i tono polemici e aggressivi della prima fase del movimento. In questa dimensione, al di là delle posizioni della destra e del centro che hanno accettato la proposta di Draghi, si pone la linea del Pd di Letta. Il partito da tempo ha abbandonato, dopo non pochi scontri con la magistratura, le antiche posizioni giustizialiste: una scelta che, in questo caso, è più che largamente condivisa da Italia Viva, per non parlare dei berlusconiani di Forza Italia. La riforma della giustizia, di fatto, avrebbe sulla carta l’opposizione solo d’una frazione del M5s,  ma potrebbe essere una atteggiamento che potrebbe preludere a una scissione e del passaggio dei dissidenti all’opposizione. Una evoluzione degli eventi che, oltre che dai vertici del M5S, non è gradita neppure dal Pd che punta invece a dar vita a una alleanza di sinistra senza troppi contrasti interni.

Mas non sarà facile modificare la proposta di legge che è assai lontana dalla linea dell’ex ministro della giustizia Bellanova, molto vicino a Conte.  Si profila dunque una estate calda alla vigilia delle elezioni amministrative d’autunno. Si annunciano squassi che potrebbe far traballere se non il governo, quantomeno importanti scelte operative legislative. Tra l’altro proprio mentre, con il pieno favore dei vertici europei, stanno arrivante le prime importanti tranche del Recovery, strumento indispensabile per la ripresa economica dopo la pandemia.  E’ fin troppo ovvio che nessuno ha interesse a dar vita a una crisi di governo, anche perché gli stessi sondaggi – che sono sempre da prendere con beneficio d’inventario – sono ondeggianti e comunque avremmo, almeno sulla carta, una geografia dei rapporti di forza rispetto all’attuale situazione dei due rami del Parlamento.

E’ facile prevedere un Parlamento privo di maggioranza e , ancor peggio, privo di un grande mediatore capace di fare sintesi “al meglio” delle scelte strategiche da attuare. Né va dimenticato che in febbraio ci sarà la elezione del nuovo Presidente della Repubblica, un altro tema sul quale in questo momento non c’è la più assoluta chiarezza, perché sono in molti a sostenere che Draghi sia più utile a Palazzo Chigi che al Quirinale, perché sono troppi e troppo intricati i nodi da sciogliere. Per questo appare per certi aspetti assurdo – ma la storia ci ha insegnato ben di peggio – bloccare le prospettive operative e le assemblee legislative nella rissa, in gran parte ideologica e strumentale, della “legge Zan” e della riforma della giustizia. Occorrerà trovare sintesi e mediazioni in fretta, superando alcune posizioni che sembrano per certi aspetti “capricci” di politici indispettiti e frustrati.