Governo Draghi, in attesa dei fatti
di Paolo Lingua
Preciso e puntuale, ma per molti aspetti ancora generico, il programma del governo di Mario Draghi. Il premier ha parlato per quasi un’ora e mezzo al Senato (dove si voterà in tarda serata), ma sarà la prova dei fatti a far esprimere, tra settimane e addirittura tra un po’ di mesi, il giudizio sulla sua azione. Draghi dovrà dare il meglio di sé sul piano dell’azione che decollerà su due binari paralleli, quello della pandemia e quello della ripresa economica. In entrambi i casi Draghi ha espresso opzioni condivisibili, anche se generiche. Cominciamo dalla questione pandemia e vaccini. Il nuovo governo deve prendere in mano la situazione e mettere a fuoco l’acquisizione dei vaccini e la loro distribuzione sul territorio. Siamo chiari: al di là di mille dichiarazioni o giudizi (governo stesso, tecnici, incaricati speciali, regioni, comuni, ospedali, ecc.) a volte contrastanti occorre recuperare dalle diverse case farmaceutiche imponenti quantità di vaccini e arrivare prima dell’estate a praticarli su quasi venti milioni di italiani.
Così dovrebbero calare nettamente i decessi (per quattro quinti di soggetti al di sopra degli 80 anni) e fermarsi una gran parte dei contagi. Nello stesso tempo, sarà necessario tenere il piede sul freno su politiche di mano larga per tutto quello che riguarda i rischi di assembramento, anche alla vigilia dell’estate. L’esperienza dell’anno scorso, uno dei maggiori errori del governo Conte, dovrebbe essere d’esempio. Occorre arrivare nella condizione ideale prima del prossimo Natale. In questo contesto, che si si augura sia il migliore possibile, deve inserirsi una politica intelligente di ripresa economica, tenendo presente che l’economia rialzerà la testa a livello internazionale. L’Italia non può restare indietro o, peggio ancora, taglia fuori. E proprio su questo percorso di misurerà la capacità conclamata di Mario Draghi che non potrà emergere, per ora, nel dibattito sulla fiducia nei due rami del Parlamento. Il vero passaggio-chiave sarà contenuto nel forziere ideale dei contenuti del Recovery.
Progetti operativi di rapida esecuzione che dovranno essere messi a punto in poche settimane perché il piano dovrà essere presentato con urgenza a livello europeo per la definitiva approvazione. Alcune aperture nel discorso di Draghi, seppur prudenti, sembrano puntare più agli investimenti sulla ripresa economiche che all’assistenzialismo. E questo è un fatto positivo. Meglio una crescita della qualità della vita, del reddito e soprattutto dei posti di lavoro che la distribuzione a pioggia di sussidi a disoccupati, molti dei quali (come è stato dimostrato) sono andati a chi non ne aveva diritto, per non parlare, soprattutto nel Sud, di “sussidiati” che lavorano in nero. Ma qui occorrerà forzare la mano del governo, perché proprio Conte non è riuscito a mettere insieme un concreto Recovery per i contrasti interni tra gli alleati di governo. Un’opzione a favore delle sviluppo produttivo e delle grandi opere ancora ferme verrà sicuramente dal centrodestra (Lega, centristi e Forza Italia), oltre che da Italia Viva. Ma anche il Pd è sempre stato favorevole. I dubbi vengono dal M5s, che sta perdendo frange si parlamentari, così come l’estrema sinistra di Leu.
Sarà anche da capire come si muoverà ora questo sistema interpartitico formato appunto da Pd, M5s e Leu. Sarà in funzione delle elezioni amministrative, anche se i precedenti dell’autunno scorso non sono stati granché brillanti? Il Pd ha una strategia assai diversa dai grillini sul piano dell’economia e persino della politica sociale, posizioni che distaccano anche i sindacati confederali dal M5s e dagli estremisti di sinistra. Perché l’assistenzialismo, che magari si può anche capire o applicare perché la pandemia ha messo in ginocchio molti settori imprenditoriali, non è un rimedio alla crisi produttiva o al crollo dei mercati. Mario Draghi, profondo conoscitore del mondo industriale e di quello finanziario, che ha un passato nel quale ha mescolato abilmente socialità e spinte produttive, è atteso nella sua prova più difficile. Volendo fare un paragone storico un po’ paradossale, in questo momento in Italia non abbiamo bisogno di un Peron ma piuttosto di un De Gasperi o di un Cavour.
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