Genova, grandi opere: dal passato del “va bene tutto” al presente dei “no”

di Stefano Rissetto

Il rischio è il pregiudizio, ovvero valutare non le persone per le cose fatte, ma le cose secondo le persone che le abbiano fatte o le vogliano fare

In cima alla Lanterna ci starebbe bene un casco giallo, ma quasi sarebbe meglio non scriverlo perché magari ce lo mettono davvero. Mai come adesso, infatti, Genova è un cantiere totale. Diga, terzo valico, nodo ferroviario, tunnel subportuale, nuova Fiera e Kennedy, prolungamento della metropolitana e riqualificazione di aree industriali dismesse sono in corso; altre iniziative come funivia dei Forti, tram sopraelevato, nuovo stadio e perfino secondo forno crematorio si trovano ancora in fase progettuale.

Tutte queste opere, strutturalmente differenti, sono accomunate da un immancabile registro corale: il controcanto dei comitati di protesta contro la realizzazione. Non c'è novità all'orizzonte che non attragga, quasi seguendo la terza legge di Newton, un'immediata opposizione di piazza. Allora non è ozioso rifarci alla storia, recente o meno, di una Genova altre volte trasformata, nel silenzio o quasi però.

Di certo non ci fu opposizione alcuna, quando il Mercato dei Fiori di Brignole, gioiello di scuola razionalista, fu raso al suolo per lasciar posto a uno sgradevole cubo di Rubik in attuazione, sede di una filiale bancaria. Codesto istrice di vetrocemento si affianca ai palazzoni che oggi sembrano giganteschi iPad, ma che alla fine degli anni Ottanta avevano sostituito Corte Lambruschini, anche allora senza che alcuno dicesse né a né ba. Come indica il toponimo, si trattava di un suggestivo edificio quadrangolare a corte, di non minimo valore storico-architettonico, ultimo rimasto in città. Più o meno nello stesso periodo, venne distrutto lo storico stadio Luigi Ferraris edificato a più riprese nei decenni, per sostituirlo in due tempi con uno del tutto nuovo: neppure in questo caso si registrarono malumori.

Ecco, nei tre casi appena citati, il vecchio era incomparabilmente più bello del nuovo. Altrettanto potrebbe dirsi della caserma dei vigili del fuoco di corso Quadrio (nella foto, il video della demolizione realizzato dallo stesso corpo dei VVFF), oggi sostituita da un quasi nulla; della conceria Bocciardo di Marassi, preclaro esempio di archeologia industriale, rimpiazzata da un falansterio scolastico di desolante, inesorabile bruttezza.

Tra gli esperti di storia locale, si stigmatizzerà all'infinito il “diradamento” lineare che a Madre di Dio fece polvere di un quartiere storico, casa natale di Niccolò Paganini compresa, per inscenare un festival del brutalismo architettonico oggi sede degli uffici regionali, tristamente affacciato sui “giardini di plastica” e basta la parola. Un “diradamento” di cui da tempo si parla a proposito della zona di Prè e di altri siti critici della città vecchia ma che, visto il primo esperimento, converrebbe non replicare. Di tanto scempio, perché tale fu, resta Piccon dagghe cianin, solo una canzone. Quel misfatto collega sociologicamente lo svuotamento del centro storico, poi riempito da quel che capitava perché la natura detesta il vacuo, alla febbrile costruzione sulle alture di dighe e lavatrici e altri scatoloni isolati da tutto come manicomiali fortezze Bastiani; reperti di anatomia patologica sociourbanistica che Guido Ceronetti, vedendoli dal finestrino di uno dei tanti treni del suo “Viaggio in Italia” (Einaudi, 1983, ristampa 2014), aveva cristallizzato nell'ergastolo della definizione “Termitai per disperati”.

E veniamo alla Sopraelevata. Oggi si dibatte se conservarla, ai tempi della costruzione però venne fatta senza troppi discorsi. Eppure c'entrava davvero poco, molto poco col contesto, segnandone una perpetua cesura; un isolato visionario aveva proposto in alternativa un ponte sospeso sull'arco portuale, ma quell'ipotesi fece la fine dei progetti futuribili di Renzo Picasso, dal grattacielo della pace che avrebbe dovuto torreggiare dalle parti della rotonda di Carignano alla metropolitana a quattro binari sotto via XX Settembre. A proposito, vero che a Genova non si butta via niente, ma quando via Giulia divenne l'attuale via centrale intitolata alla data della breccia di Porta Pia, altre due porte, Porta Santo Stefano e Porta Pila, non vennero semplicemente demolite ma trasferite in modo assai bizzarro, la prima a ridosso del Galliera e la seconda a sovrastare il muraglione nord della stazione Brignole.

Perché allora nessuno o quasi si opponeva al piccone, come oggi avviene quasi in automatico? Forse per una meno diffusa coscienza civile e partecipativa? Oppure per un ordine diverso delle priorità, talché subito dopo la guerra per esempio era meglio sanare comunque le ferite in modo rapido, piuttosto che farlo al meglio, come dimostra l'opprimente moloch di cemento armato a Caricamento, che torvo sovrasta il monumento a Rubattino e che sembra la traduzione edilizia al celebre titolo di Chatwin. “Che ci faccio qui?”.

Prendiamo infine il cuore del cuore della città. La fontana a De Ferrari, che pure essa stessa non fu una grande trovata urbanistica, perché occupandone il centro priva la città della piena agibilità della sua piazza centrale, aveva un senso estetico prima del G8 ma divenne un'altra ccosa on l'installazione della cornice, con relativi zampilli aggiuntivi a cottimo. Meglio o peggio prima? E il Carlo Felice? Andava certo ricostruito ed era stato doloroso privarsene per decenni, ma si volle premiare il progetto di Aldo Rossi, per definire un teatro lirico fatto come un cinema, con platea e galleria e senza neppure uno di quei palchi che rappresentano la cifra storica indefettibile di quel tipo di edifici. Come per secondare, si potrebbe dire maliziosamente, il vento antielitario ed egualitarista di quel tempo, in cui maestri come Nono e Abbado portavano le filarmoniche nei capannoni delle presse a deliziare le tute blu. Ci sarà pure un motivo, sia permesso un filo di ironia, se l'opera più bella, ma davvero bellissima, di Aldo Rossi è un cimitero, il San Cataldo di Modena, cupa e geniale ripresa del Colosseo Quadrato dell'EUR rivisto nel controluce dell'Isola di Bocklin.

Tutto questo fu fatto senza mugugni o quasi. Oggi invece si mugugna su ogni cosa e la dialettica, per carità, purché non sia pregiudiziale è sempre un bene. La dialettica è costruttiva fin quando si valutano le persone secondo le cose che facciano, ma diventa bulesumme fine a se stesso se si giudicano le cose secondo le persone che le progettino. Intanto si comincia a discutere perfino sull'indiscutibile, ovvero sulla religione dell'ecologia, un credo che ha soppiantato ormai la fede tradizionale, per lo meno nell'Europa che fu cristiana e ora prega la madre terra. Man mano infatti che avanzano i mulini a vento degli impianti eolici, qua e là si prova a dire che non possono essere installati dappertutto perché devastano il paesaggio. Sempre così: ogni puro finisce per trovare qualcuno più puro che lo epura.