C'era una volta un voltino e non c'è più
di Stefano Rissetto
Sparisce dal bivio tra Val d'Aveto e Val Mogliana l'edificio più strano della Liguria
C'era una volta un voltino. Sembra una fiaba e non lo è più. Da oggi è cambiata per sempre, diciamo pure che non c'è più, la costruzione più strana forse del mondo, di certo della Liguria in un entroterra dove basta poco per dimenticarsi del mare: quella specie di castello incantato che a Borgonovo Ligure presidiava il bivio tra la Val d'Aveto e la Val Mogliana, ovvero le strade per Santo Stefano d'Aveto e per il passo del Bocco. Il "tetto" è stato rimosso, alla Soprintendenza piacendo verrà presto demolita anche la parte esterna e finalmente la sede stradale potrà essere allargata.
Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce, ma stavolta diciamo: la viabilità ha ragioni che il cuore non conosce. Tutti siamo passati lì sotto, impossibile contare quante volte, ogni volta chiedendoci chi ci abitasse, chi ci avesse vissuto, perché quello strano edificio fosse stato costruito, da chi e perché proprio lì. Un vecchio dagherrotipo racconta che il voltino stava lì da fine Ottocento, la strada per Parma era stata inaugurata nel 1878.
Il tempo fugge e il piccone non picchia piano. Così in pochi colpi di demolizione controllata se ne va un po' del nostro tempo migliore, si dileguano i migliori anni della nostra vita. Per quasi tutti quel voltino era giustamente un fastidio, complicava l'andirivieni da e per zone assai popolate. Per qualcuno era invece un suggestivo fermacarte della nostalgia. Segnava infatti il punto in cui la strada cominciava davvero a salire, per il ciclista avviato al "giro delle tre province", tre province (Genova, Parma, La Spezia e ancora Genova) e tre salite (Bocco, Cento Croci e Velva) per un centotrenta/centoquaranta chilometri quasi tutti ascesa e discesa, con tanto di un santuario e poche tregue pianeggianti. Dal voltino in poi occorreva scalare rapporto, scendere di corona, affrontare il primo tratto di ascesa per un rettilineo non modesto, lungo un passo tutto sommato dolce ma interminabile, specie nel tratto dopo Montemoggio. Insomma, cominciava la parte faticosa, lo strappo precedente di Terrarossa non contava. Era un apprendistato morale più che sportivo: il ciclismo è la forma più fertile di solitudine.
Quando la scorsa estate avevano cominciato a cadere calcinacci dal voltino, e la strada era rimasta chiusa per alcuni giorni costringendo i viandanti, a motore o a pedali, a deviazioni estenuanti, si comprese che il destino del maniero fatato era segnato. E allora i melanconici, pensando a se stessi più che a quell'irripetibile edificio, presero a sperare che accadesse qualcosa, che venisse trovato il modo di restaurarlo, di salvarlo forse, di smontarlo e ricostruirlo tale e quale, perché no?, poco distante. In alcuni casi, come all'imbocco della Val Graveglia dal Settembrin (tra i pochi casi di locale divenuto elemento toponomastico) a Santa Lucia, la costruzione di una variante con tanto di ponti ad arco, indispensabile per i mezzi pesanti, aveva lasciato intatta la vecchia provinciale, più volte corretta sia in piano che quasi ad Arzeno, dove il vecchio ponticello sopravvive accanto a quello di accesso al paese. Qui non si è pensato a tutelare quel che per qualcuno era diventato oggetto di affezione, realizzando una diversione stradale che lo lasciasse intatto. Niente, cadeva a pezzi, in alcuni casi non si trovavano neppure i proprietari degli appartamenti ormai disabitati, perché dove c'è un castello ci sono anche i fantasmi, così come poche centinaia di metri più a valle c'era una trattoria con un leone, un leone vero in gabbia. Così si è compiuto il destino di tutto: sgretolarsi, da sé o per agenti esterni.
Sono scomparsi, affondati nell'erba, anche i vecchi paracarri di granito che scandivano, in numeri romani, l'ascesa al valico ligure-emiliano, sostituiti da cartelli sospesi, che puntigliosi hanno aggiunto 600 metri ai 15 chilometri già bastanti. Verrà presto l'inverno su quella cima e la neve e la brina, e poi un'altra estate di miraggi da calura. Il tempo si è inceppato, fa sempre lo stesso verso, spettri e belle addormentate svaniscono in una memoria che si sfolla, i porcospini s'abbeverano a un filo di pietà.
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