Genova, grande successo al teatro Nazionale per "Il lutto si addice a Elettra"
di Redazione
GENOVA - Teatro Ivo Chiesa gremito all'inverosimile ieri sera e entusiasmo alle stelle per "Il lutto si addice a Elettra" di Eugene O'Neill, spettacolo
inaugurale della nuova stagione del Teatro Nazionale. Un allestimento di indubbio livello sotto tutti i punti di vista, dalla bella traduzione di Margherita Rubino alla regia e alle scene di Davide Livermore al magnifico cast.
Nell'attuale panorama di registi, Davide Livermore occupa una posizione privilegiata non solo perché agisce pariteticamente nel campo lirico e in quello della prosa, ma anche perché i suoi spettacoli hanno sempre una precisa coerenza stilistica e soprattutto sono irreprensibili sul piano tecnico. Chi ha visto lo scorso anno il doppio spettacolo James/Britten ("The turn of the screw") ricorderà le invenzioni tecniche (le posizioni"antigravitazionali") di un allestimento decisamente affascinante. E dopo aver messo in scena due anni fa l'"Orestea", Livermore ha scelto il dramma di O'Neill che costituisce una interessante "rilettura" della trilogia di
Eschilo, naturalmente aggiornata al Novecento e trasferita nell'America alla fine della guerra di Secessione con la psicanalisi freudiana che si sostituisce al giudizio degli dei, mentre il processo pubblico di Eschilo lascia il posto a un processo che si consuma nella interiorità degli stessi
personaggi.
E se nel Britten/James dello scorso anno Livermore aveva puntato su invenzioni sceniche di particolare effetto, se nella trilogia di Eschilo aveva posto al centro della scena una grande, incombente sfera sulla quale proiettare immagini dei drammi del nostro tempo, in questa lettura di O'Neill la sua attenzione si è rivolta interamente agli attori, calati in una scenografia fissa, uno spazio chiuso, profondo, con arcate bianche, grigie e nere, colori dominanti che lasciano il posto al rosso fuoco solo nei momenti di violenza. Una regia semplice, asciutta, senza spettacolarità, cinematografica ma di grande intelligenza, giocata sulla psicologia dei personaggi (splendidamente caratterizzati nella loro dimensione emotiva), risolta grazie alla bravura di un cast di prim'ordine.
Elisabetta Pozzi che trent'anni fa nell'edizione di Ronconi aveva vestito i panni della figlia Lavinia accanto a Mariangela Melato è stata una straordinaria Christine mentre il ruolo della figlia è stato risolto con altrettanta verve da una Linda Gennari sempre più brava. Nella parte del vecchio Ezra Mannon (l'Agamennone di Eschilo) si è visto un eccellente Paolo Pierobon. E bravissimi anche Marco Foschi (Orin), Aldo Ottobrino (Adam Brant), Davide Niccolini (Peter Niles) e Carolina Rapillo (Hazel Niles). La musica è componente fondamentale nel teatro di Livermore. E qui la scelta del regista e dell'autore Daniele D'Angelo è stata quella di creare una partitura continuamente presente, ma discreta, fra elementi percussivi e frasi melodiche con citazioni da John Brown, Bruno Maderna e Giorgio Federico Ghedini.
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