Genova, “Alessio era terrorizzato dal padre: è stato aggredito e si è difeso”

di Michele Varì

L'avvocato Luca Rinaldi difensore di Alessio Scalamandrè, il ventottenne che ha ucciso il papà. La ricostruzione della tragedia di San Biagio

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“Alessio si è difeso: suo padre era entrato in casa per chiedergli di ritirare la denuncia contro la madre in vista dell'udienza per maltrattamenti del 30 settembre, ne è nata una discussione poi degenerata. Lui è stato colpito e si è difeso, il primo ad afferrare il mattarello era stato il padre, lui gliel'ha strappato...”.

Pesa le parole Luca Rinaldi, avvocato difensore di Alessio Scalamandrè, il ventottenne che ha ucciso il padre insieme al fratello Simone, vent'anni, anche lui indagato per omicidio volontario aggravato dalla parentela 
“Alessio era terrorizzato dal padre – racconta ancora il legale dal suo studio di via Invrea – era traumatizzato, ed infatti ora, dopo la tragedia, più che un senso di pentimento ha avvertito un senso di liberazione”.

La ricostruzione dell'omicidio avvenuto nella casa di via Garrone, a San Biagio, alture di San Quirico, è stata effettuata dagli agenti delle volanti e della squadra mobile.

Tutto comincia intorno alle 20 di martedì 10 agosto, un martedì rovente e afoso: il padre bussa alla porta ed entra nell'abitazione dove non potrebbe entrare per il divieto imposto dal giudice dopo una denuncia per maltrattamenti della moglie, che da allora vive in una casa rifugio in Sardegna. 

Paquale Scalamandrè invece era tornato a vivere con l'anziana madre. Nella sua casa abitano i due figli Alessio, 28 anni, e Simone, vent'anni, due ragazzi alti e belli, robusti. Due ragazzi normali come raccontano le foto piene di amici e sorrisi di Facebook.

Il più grande fa l'agente di commercio e si alterna fra la casa e l'abitazione della fidanzata, il più piccolo invece vive lì in modo stabile. Anche lui è fidanzato.
Un vicino di casa racconta che il papà andava spesso a trovarli, anche per andare a portare fuori il cane, un  Jack Russel, ora affidato al canile municipale dalla Croce Gialla.

La tensione in casa con l'arrivo del padre sale in pochi minuti. Un film già visto. Stavolta ad incendiare gli animi è la richiesta del padre che, mentre Simone, il più piccolo, è in bagno, chiede ad Alessio di ritirare la denuncia in vista dell'udienza per i maltrattamenti. 

 Il figlio rifiuta e per il padre quell'ennesimo no è una dichiarazione di guerra. Lui che ha dato tutto per la famiglia, ha fatto straordinari a guidare i bus, ha vissuto per la moglie e per i figli adesso si sente solo e con le spalle al muro. Forse si rende conto dei suoi errori. Di certo perde la testa.

A detta di Alessio è lui il primo che alza le mani, lo aggredisce, e poi afferra il mattarello. 

“Io gliel'ho strappato e l'ho colpito” dirà poi il ragazzo. 


Le urla, il tonfo del padre che cade a terra fanno uscire Simone dal bagno che vede il genitore ferito ma ancora accecato dalla rabbia, forse come era già successo tante volte. E' questo punto che interviene anche lui, per difendere Alessio. 

I due colpiscono il padre con calci e pugni, Alessio forse anche con un cacciavite. Il padre stramazza terra esanime, in un lago di sangue che sporca l'ingresso dell'abitazione all'ultimo piano di quella palazzina moderna immersa nel verde e affacciata sulla Valpolcevera industriale. 

Sarà poi Alessio a telefonare al numero 112, “venite, ho colpito mio padre”, anche se i due fratelli, sotto choc per l'accaduto, si rendono conto che il padre può essere già morto. 
 Ammazzato.


Nella casa arrivano prima i militi di una pubblica assistenza della zona che quando si trovano davanti a al corpo esanime di un uomo in pantaloncini corti, lo stesso abbigliamento estivo dei figli tramortiti dal dolore, capiscono che è successo qualcosa di grave e non si muovono. Aspettano l'intervento del medico del 118, che arriva dopo pochi minuti e non può fare altro che diagnosticare la morte di Pasquale Scalamandré. Il suo cuore non batte più.

Quando arrivano i poliziotti delle volanti nella stanza c'è sangue dappertutto: sulle pareti, sui mobili, sul pavimento. Nell'ingresso è tutto in disordine, mobili rovesciati, scarpe, oggetti ovunque, per terra un mattarello sporco di sangue, il teatro di una colluttazione molto violenta. 

Poi giungono i detective della sezione omicidi della mobile e della scientifica, il medico legale e il magistrato di turno Francesco Cardona Albini. Tutti con la mascherina. 
Si capisce subito che sono stati i due figli ad uccidere l'uomo e che la posizione del più giovane è marginale, tanto che in un primo momento il pm non voleva neppure indagarlo. Alessio, invece è reo confesso, finisce in carcere, a Marassi. 

Nell'atrio del palazzo nel frattempo arriva una sorella della vittima, poi un vicino ex collega di Pasquale della rimessa Amt di Sampierdarena. 

Racconta che Pasquale non era un violento è che a fargli perdere la testa è stata la moglie, è vero aveva una pistola con cui andava a sparare al poligono, ma non la prendeva mai, dice. “Eppoi le chiavi del cassetto le aveva un figlio...”. Particolare quello dell'arma importante perché pare sia servito per definire l'uomo potenzialmente pericoloso. 

Un'altra sorella della vittima, accorsa con il marito davanti al palazzo della tragedia apprende per caso che suo fratello è stato ucciso dai figli dopo avere chiesto informazioni al cronista. La sua reazione è un pianto struggente, vero, infinito, poi rabbiosa dice: “Adesso non è il momento, ma poi racconterò io i veri motivi di questa tragedia”.


In casa intanto arriva la polizia mortuaria per portare via il cadavere del fratello, la donna viene abbracciata  dal marito che la spinge lontano come a proteggerla dal suo dolore: e i due spariscono nel buio.