Ex Ilva: l’avvenire non é chiaro
di Paolo Lingua
I sindacati del settore siderurgico continueranno a scioperare (oggi il blocco della strada Guido Rossa ha provocato code e blocchi del traffico che hanno avuto effetti pesanti anche sulle autostrade) sino a che non sarà deciso un incontro a livello di governo con il ministro Giorgetti e con i vertici dell’ex Ilva che entro poche settimane dovrebbe passare in mano pubblica, ovvero sotto il controllo della Cassa Depositi e Prestiti e dei fondi internazionali collegati, facendo scendere in minoranza il gruppo internazionale Arcelor Mittal.
I sindacati dicono no al programma di pesante cassa integrazione, preludio di fatto a pesanti tagli occupazionali, proprio mentre il maggior stabilimento, quello di Taranto che fa da guida al gruppo e che recentemente è stato oggetto, con riguardo alla gestione passata del gruppo Riva, a una pesante sentenza del Tribunale di Taranto. L’azienda, dopo vicende tormentate che sono iniziate quando la Finsider la cedette ai Riva, poi esautorati con il passaggio alla gestione commissariale nonché travolta dal drammatico problema dell’inquinamento ambientale con tanti morti tra la popolazione, è sempre al centro di un dramma sociale. L’ingresso come azionista di maggioranza di Arcelor Mittal era stato salutato con ottimismo, considerato il peso del gruppo siderurgico internazionale, ma ogni attesa è stata delusa.
Arcelor Mittal, a quel che si è capito, ha oscillato sui tagli, sulla cassa integrazione, sul ridimensionamento della produzione, mentre invece si puntava al rilancio della produzione, data l’importanza dello stabilimento italiano, uno dei maggiori d’Europa. Sono alcuni anni che gli incontri tra i vertici dell’azienda, il governo e i sindacati si susseguono senza arrivare a un obiettivo preciso. Poi si è aggravata la questione ambientale che poi per il momento è stata segnata dalla pesante sentenza della magistratura pugliese con pesanti condanne. Di qui si è ripreso il discorso, assai complesso, del blocco della produzione a caldo a Taranto, un obbligo di fatto che però equivale sul piano patico a incremento della cassa integrazione e , poi, a pesanti tagli occupazionali. Una situazione che non resta circoscritta solo a Taranto, ma che crea blocco produttivi e pesanti ripercussioni anche sugli stabilimenti di Genova e di Novi Ligure.
Dopo gli effetti pesanti dello sciopero a Genova di stamattina , il presidente della regione Giovanni Toti ha avuto un lungo colloquio telefonico con il ministro Giorgetti dal quale ha ricavato qualche speranza. Per questo ha invitato i sindacati a bloccare la protesta, ma da parte sindacale per adesso la risposta è stata negativa. I vertici dei metalmeccanici hanno anche chiesto al prefetto di Genova di intervenire con il governo. C’è una guerra, insomma, dove tutti i protagonisti stanno con le armi al piede e una soluzione onorevole per tutte le parti in causa non è facile da trovare. E’ indubbio che i danni ambientali di Taranto sono pesanti, con un alto indice di decessi. Si dovrà in pratica ristrutturare se non rifare completamente il settore della produzione a caldo, cercando di non perdere posti di lavoro. Poi occorrerà ricollegare tutti i settori produttivi anche in rapporto alle richieste del mercato che poterebbero crescere con una ripresa economica generale al momento della fine della pandemia.
Se non si faranno questi interventi urgenti e necessari anche se pesantemente costosi (in questo caso per il bilancio pubblico). Ma l’Italia se non si rimette in linea concorrenziale rischia di diventare schiava delle produzioni siderurgiche estere, perdendo una leadership nel settore che durava da decenni. Restano tanti interrogativi sul c9omportamento di Arcelor Mittal: errori di gestione o progetti di ridimensionamento? Difficile capire. Restano però le urgenze che non possono congelarsi negli uffici ministeriali.
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