Diga di Begato: si chiude un’epoca
di Paolo Lingua
La demolizione di oggi d’una vasta parte della cosiddetta “diga di Begato” per molti aspetti è un evento emblematico che chiude, in via definitiva, un’epoca nel corso della quale sono state realizzate a Genova opere pubbliche discutibili, anche per gusto ed estetica. I riflettori si fissano sul decennio 1975 – 85 caratterizzato dalle giunte di sinistra guidate da Fulvio Cerofolini ma nelle quali, di fatto, era il Pci la forza egemone. Quel decennio, che poi per molti protagonisti politici (e non solo) ebbe un seguito sino alla fine degli anni Ottanta, segna, in chiave storica la conclusione del cosiddetto “boom” di ricrescita economica decollato dal dopoguerra, con il ridimensionamento delle imprese dell’allora Iri e di molte attività industriali di taglio privato. Si fermarono anche i lavori nel settore ferroviario e autostradale: un errore che paghiamo ancora oggi.
L’unica eccezione positiva fu lo sforzo per modernizzare il porto, grazie a Roberto D’Alessandro, un impegno decisamente positivo ma che il protagonista – D’Alessandro – visse in grande sofferenza e con una parte della politica decisamente ostile. In quel decennio, curiosamente, strutture economiche vicine al Pci e giunte a Genova dall’Emilia fecero, di fatto, accordi operativi di vaste dimensioni con una larga parte del mondo imprenditoriale che pure, sul piano politico (specialmente in Consiglio Comunale) erano decisamente avverse alla giunta “rossa” di Cerofolini. A voler “ripassare” la massa edilizia di quei dieci-quindici anni passiamo dal Cep di Prà alle cosiddette “lavatrici” quindi l’aggruppamento di mini-grattacieli attorno alla Lanterna e poi Corte Lambruschini per poi concludere con la ricostruzione del Carlo Felice che vide riuniti nella ricostruzione i tre maggiori partiti (Pci, Psi e Dc).
I critici di estetica urbanistica più esperti criticarono la massa di cemento e anche lo stile discutibile di quasi tutte le opere. Non si era certo navigato nel buon gusto, ma c’è da dire, teatri a parte, che molti progetti che nutrivano ambizioni di uso e di immagine sono ormai edifici di uso corrente. Sino a che si è giunti, anche per i limiti delle strutture, oltre che per la loro sostanziale infelicità estetica, alla decisione della demolizione. Certamente corretta. Ma non si può fare a meno di riflettere sulla superficialità – per usare un termine moderato – del momento della loro costruzione. Certamente qualcuno osserverà che, in qwuesti stessi giorni, è in corso la quasi completa demolizione degli edifici della Fiera del Mare, non certamente bellissimi, ma per decenni funzionali a quella che era una eccellenza economica e d’immagine della città.
A Genova, come nel resto dell’Italia, le Fiere, così come erano state concepite negli anni Cinquant hanno esaurito la loro funzione e non fanno più notizia oltre che aver annullato o quali il loro ruolo. Ma non sono state un fallimento in tutti i sensi, come invece la Diga di Begato dalla quale i residenti, pur fruitori del servizio delle Case Popolari, si sono allontanati più che volentieri per il degrado delle strutture e anche per discutibili presenze. Non sarà il caso di cantare, come negli anni Cinquanta quando venne realizzato il moderno quartiere di Piccapietra, “Piccon daghe cianin…” In quel caso venne demolita una parte importante del centro storico e forse sarebbe stata necessaria una accortezza maggiore da parte delle istituzioni e anche delle Sovrintendenze. Ma la storia si comporta anche così, in tutto il mondo. C’è da augurarsi che, dopo la demolizione, Begato torni a essere una frazione gradevole della Val Polcevera, come era prima della realizzazione della Diga che ne ha straziato la natura.
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