Decarbonizzazione dei settori “hard-to-abate”: la sfida di trasporti e cemento

di Carlotta Nicoletti

1 min, 24 sec

La transizione ecologica si scontra con barriere economiche e tecnologiche nei settori industriali più difficili da decarbonizzare

Decarbonizzazione dei settori “hard-to-abate”: la sfida di trasporti e cemento

Il ruolo chiave dei settori hard-to-abate – Trasporti pesanti e industria del cemento sono responsabili di una quota significativa delle emissioni globali di CO₂. Secondo il “Zero Carbon Technology Pathways Report” dell’Energy&Strategy del Politecnico di Milano, senza interventi mirati sarà impossibile raggiungere i target europei al 2030 e al 2050. Nel 2023, solo il trasporto pesante ha prodotto l’8% delle emissioni di CO₂ italiane, come riporta Ferpress. 

Barriere economiche e normative – I settori “hard-to-abate” affrontano ostacoli significativi: costi elevati delle tecnologie, infrastrutture inadeguate e un quadro normativo incerto. Per esempio, la cattura della CO₂ nel settore del cemento, essenziale per ridurre le emissioni, comporterebbe costi di produzione fino al 230% superiori rispetto agli attuali.

Trasporto pesante su gomma – Le soluzioni per decarbonizzare i camion includono carburanti sostenibili o veicoli elettrici. Tuttavia, il costo totale di proprietà (TCO) di un camion elettrico è ancora superiore del 57% rispetto a un diesel. “Nonostante le tecnologie disponibili, la quota di mercato di veicoli alternativi in Italia nel 2023 era solo del 2%”, osserva Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S.

Cemento: una sfida complessa – Nel settore del cemento, la cattura e lo stoccaggio della CO₂ rappresentano soluzioni tecniche indispensabili ma economicamente insostenibili senza incentivi adeguati. Per attuare queste tecnologie entro il 2050, sarebbero necessari investimenti fino a 6,8 miliardi di euro in Italia.

Necessità di un cambio di passo – Le risorse attuali, come il fondo europeo per l’innovazione, sono insufficienti: solo il 2% dei finanziamenti è destinato a progetti italiani, contro il 12% della Germania. “Serve un maggiore sostegno per colmare il divario tra tecnologie disponibili e loro effettiva diffusione”, conclude Chiaroni.

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