Da 'genuenses mercatores' a fanalino di coda del commercio

di Paolo Lingua

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Il Punto di Paolo Lingua

Da 'genuenses mercatores' a fanalino di coda del commercio
Siracusa è il capoluogo di provincia in Italia con il centro commerciale più vitale; l’ultima, anche spiegabile con le ferite del terremoto, è L’Aquila. Purtroppo tra le ultime dieci c’è anche Genova. Un esito inspiegabile, se si ragiona in astratto, considerato che Genova ha il centro storico più esteso d’Italia e forse uno dei maggiori in Europa, inoltre, ha sempre goduto della fama di centro commerciale, sia per via del porto, sia per via dei turisti. Invece le notizie sono tutt’altro che buone. Ma, a voler approfondire, non c’è poi tanto da stupirsi. Il centro storico di Genova, a partire dal secondo dopoguerra, è stato un caposaldo della malavita: prima il contrabbando di tabacchi e la gestione della prostituzione; dopo lo spaccio della droga. Queste presenze hanno allontanato dalla vita commerciale di tutti i giorni operatori vivaci ma onesti, oltre che la clientela “normale” sia cittadina, sia turistica. Lo sesso discorso vale per i bar e i ristoranti fatte poche eccezioni. Inoltre, salvo che in qualche strada ai margini del centro storico gli interventi urbanistici risanatori si sono fermati quasi subito. Il che vuol dire che non c’è attrattiva abitativa. Tanto è vero che sono centinai le case vuote e sfitte o che, comunque, nessuno intende acquistare. Accanto a una crisi endemica del centro storico dove le amministrazioni da più di trent’anni hanno annunciato interventi mai realizzati, si è aggiunta la situazione critica delle periferie di ponente, colpite più o meno direttamente dal crollo del Ponte Morandi. A mettere la ciliegina sulla torta, poi, si è aggiunta la desertificazione del centro commerciale con la chiusura della Rinascente, del grande bar sottostante e nei giorni scorsi del Moody, travolto dal fallimento di Qui!Group. La zona di Piccapietra, dove comunque alcuni esercizi con prodotti di alto livello hanno retto solo pochi anni per lasciar posto a centri commerciali di livello medio-popolare. La stessa via XX Settembre, con la chiusura dei cinema, ha visto serrare i battenti a molte “botteghe storiche” e negozi di punta. Non è più una passeggiata dello shopping vip come un tempo. Questo spiega la decadenza commerciale d’una città che invece, sul piano storico, dovrebbe detenere lo scettro del settore, nonostante che dalle Celebrazioni Colombiane in poi c’è stata obiettivamente una ripresa turistica, alimentata dal traffico crocieristico che, nonostante le difficoltà, si annuncia in continua crescita. Genova è stata negli ultimi trent’anni una città da “alti e bassi”. Il porto, alla vigilia d’una crisi che sembrava letale, è stato “salvato” tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta dalla presidenza di Roberto D’Alessandro, ma, nello stesso tempo, sono declinate gran parte delle grandi industrie legate alla storica IRI. Il sistema di comunicazione – autostrade e ferrovie – è fermo da oltre quarant’anni. Le esitazioni di Terzo Valico, Gronda, raddoppio della ferrovia Genova-Ventimiglia, sono errori delle amministrazioni che si sono succedute. E’ andata meglio per la ristrutturazione del Porto Antico, ma c’è stato il declino irreversibile della Fiera e gli alti e bassi del Salone Nautico Internazionale. Tutto questo ha prodotto ricadute negative sulla filiera commerciale e anche sulla “eccellenza” che caratterizzava molti settori merceologici. Ecco perché Genova naviga nelle acque basse della classifica della Confcommercio, poco sopra la sfortunata L’Aquila.  Ma è autentico peccato, per non dire un delitto, l’aver agito con tanta trascuratezza per decenni. Non è bello finire con l’etichetta di città con le serrande abbassate. Come si farà a citare il motto “genuensis ergo mercator” che è stato per secoli più che un simbolo  l’autentico marchio d’una città e d’un popolo?