Conte, Draghi & Coronavirus
di Paolo Lingua
Un vecchio proverbio recita “la classe non è acqua” e, a conferma della saggezza popolare, Mario Draghi lo ha dimostrato ancora una volta, proprio nel momento in cui tutti i governi, in particolare dei Paesi dell’Occidente, si contraddicono tutti i giorni, vanno a zig zag e, comunque, ogni settimana modificano i loro provvedimenti. L’Italia, con particolare riferimento a quest’ultimo comportamento, ne è l’esempio più vistoso. E’ logico che non è facile agire in uno stato di guerra e di emergenza biblica quale è quella che stiamo vivendo. Ma non è neppur possibile, come nel caso di Conte, modificare quasi di giorno in giorno le sanzioni per chi viola le norme imposte dall’esecutivo e dalla regioni o stilare con impuntatura puntigliosa e pignola le attività che debbono chiudere o no, salvo modifiche del giorno dopo. Certo, la reale difficoltà è capire – e non è ancora possibile – quando si raggiungerà il picco del contagio e delle morti e comincerà poi la tanto sospirata discesa. Inoltre, sulla base dei tempi che ci attendono per il coronavirus, c’è un certo smarrimento su quale sarà la condizione economica che ci attende. Di qui la fragilità del nostro Governo (già alle prese con una gestione traballante, prima dell’esplosione dell’infezione) e tutte le incertezze sulle decisioni da prendere.
Ecco perché la sterzata di Mario Draghi, nel suo articolo sul “Financial Times” di due giorni fa, ha avuto un effetto deflagrante. L’ex presidente della Bce, che forse è la personalità italiana di maggior prestigio nel mondo a livello di politica economica, ha svolto un ragionamento essenziale ma spietato nella sua logica. Ha paragonato la situazione attuale a quella che si è verificata a causa delle guerre mondiali.
E in particolare alla grande crisi decollata alla fine degli anni Venti negli Stati Uniti e nel resto del mondo economicamente più evoluto e avanzato. Ha suggerito, solo con apparente spregiudicatezza ma con logica spietata, che l’unica ciance e fare dei debiti perché solo immettendo sul mercato e nel gioco finanziario una carica pesante di liquidità sarà possibile far fronte alla crisi che inesorabilmente si sta prospettando e ad accelerare la ripresa. C’è un panorama alle spalle del ragionamento di Draghi: oggt nessuno si può permettere di vivere anni e anni di recessione economica, perché le regole della concorrenza sono cambiate e inoltre si affacciano ogni giorno nel mondo nuovi Paesi e nuove realtà produttive che possono prendere il posto di chi è in discesa o comunque in crisi. Oggi non è facile riacciuffare quello che si è perduto pèer il novo rapporto tra materie prime e produzione e per le profonde diversità del costo del lavoro. I rapporto che si è creato tra la Cina e il resto del mondo un tempo leader dell’economia ne è l’esempio lampante. Quindi, secondo Draghi, non si deve aver paura di fare dei debiti, perché i empi della ripresa e della ricostruzione incalzano.
E’ chiaro che la linea politica indicata, che forse ricorda quella di Keynes, l’economista che ispirò la ripresa degli Usa di Roosvelt all’inizio degli anni Trenta (non fosse altro per l’impegno nelle opere pubbliche capaci di trascinare importanti filiere produttive), non va confusa con la corsa a stampare moneta, come faceva in Messico all’inizio degli anni Venti del XX secolo l’allora presidente Pancho Villa. Così come sono discutibili, oggi in Europa, gli irrigidimenti in stile austerity che ancora oggi caratterizzano la Germania e gli stati del Nord Europa. Stiamo assistendo appunto allo scontro sugli “eurobond” tra l’Europa del Sud e latina (cui si è aggiunta la Francia di Macron, ed era ora) e appunto l’asse nordico-tedesco. Su questa linea il nostro premier Giuseppe Conte s’è convertito e si impunterà e sarà bene così. Dobbiamo essere pronti ad affrontare una crisi economica (e occupazionale) che potrebbe essere anche più drammatica rispetto alle previsioni, ancora incerte, di questi giorni. Ma Conte (e in particolare con il sostegno del Pd che è il partito più “scafato” politicamente dell’attuale maggioranza) dovrà imporsi negli investimenti e nello spingere al massimo le grandi opere pubbliche – magari con regimi commissariali di gestione – perché su queste strategie il M5s, che appare un po’ frastornato, s’è sempre impuntato per dire opposto. Ci saranno sempre problemi da risolvere, volta per volta, se si vorrà rinascere, come è giusto che sia.
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