Comincia con pause e rincorse la marcia per scegliere il candidato (e le alleanze) per le elezioni regionali

di Paolo Lingua

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Comincia con pause e rincorse la marcia per scegliere il candidato (e le alleanze) per le elezioni regionali

Premettiamo subito che le procedure saranno complesse e che ci vorranno tre o quattro settimane per capire come andrà realmente a finire: dopo il voto di domenica, infatti, sono iniziate le contorte discussione – dirette e a distanza – per scegliere i candidati alle presidenze e soprattutto le alleanze per i prossimi sei appuntamenti (Veneto, Marche, Toscana, Campania, Puglia e Liguria) per i rinnovi regionali. Per il centrodestra, che vada bene o vada male, la situazione appare, salvo sorprese, meno complicata. Al di là degli esiti recenti (sconfitta i n Emilia e vittoria in Calabria) il centrodestra ha deciso ormai di andare compatto con l’alleanza blindata a tutti gli appuntamenti. Tutt’al più si discuterà sulla scelta specifica del candidato, alternando i partiti, anche se il alcuni casi (il Veneto per esempio) il designato sarà un esponente della Lega, con presenze di Forza Italia e di Fratelli d’Italia nel Mezzogiorno. Il centrodestra dovrà decidere se continuare con la politica aggressiva e sovranista di Salvini, oppure procedere con sfumature di linguaggio e toni più liberali, sulla base dell’esperienza maturata dopo la sconfitta in Emilia. Ma si tratterà di studiare la compagna regione per regione perché le situazioni sono differenti. Nel centrosinistra la situazione della coalizione che deve tenere insieme anche il governo appare più complessa. In primo luogo, dopo che il Pd ha rialzato la testa e si è verificato il crollo del M5s,  si impone una verifica, un confronto e una ripartita sui programmi del governo. E i punti nevralgici sono sempre più aperti: la prescrizione, il ritiro delle concessioni autostradali, le grandi opere pubbliche, quota 100 e il reddito di cittadinanza sono tutti grandi temi sui quali verte una netta spaccatura tra il Pd (spalleggiato dagli alleati moderati come il renziani e il movimento della Bonino) e i grillini. Non si sono intraviste ancora possibili mediazioni, ma è ovvio che il Pd, nettamente rinforzato dal voto, è sempre meno propenso a subire le scelte del M5s che resta maggioritario  (ma solo teoricamente) in Parlamento e che teme il rischio di un ritorno alle urne che potrebbe vederlo scomparire. Si annunciano nel M5s gli Stati Generali a marzo per trovare una nuova unità e una nuova leadership, dopo la defenestrazione di Luigi Di Maio. Nel contesto si parla, a sempre ufficiosamente, d’un programma di confronto tra alleati per decidere se correre dovunque insieme e con un solo candidato presidente. Ma i grillini vorrebbero eliminare i simboli di partiti e puntare sulle liste civiche scegliendo candidati esterni, mentre il Pd vorrebbe personalità più scafate e più politiche sia pure nel senso migliore del termine. E allora? Ci si muove a piccoli passi e anche a zig zag. In Liguria ogni gio0rno emergono possibili candidati, sovente buttati là come provocazione mediatica (a volte confusa e grossolana) al fine non sempre chiaro di far scoprire eventuali carte nascoste, che poi di fatto non esistono. Il “dream” del centrosinistra in Liguria sarebbe un candidato con il profilo di un Giuseppe Pericu di venticinque anni fa: colto, professionale ma anche politicamente scafato e per nulla dilettante.  Un candidato insomma in grado di recuperare una autentica rivincita su Giovanni Toti che, per molti aspetti, decolla favorito ma che, nelle ultime settimane, anche perché il suo movimento “Cambiamo!” non pare aver sfondato, mentre Forza Italia appare indebolita (ha retto bene in Calabria ma è crollata in Emilia), sembra aver qualche problema. Ma al di là di Alice Salvatore che insiste per un M5s che corre da solo in Liguria, anche se nel suo movimento non sono tutti d’accordo, in Liguria i modelli del Pd e quelli dei grillini appaiono molto diversi. Il compromesso non sembra proprio dei più agevoli.