Scommesse e paure per il futuro del Quirinale

di Paolo Lingua

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Scommesse e paure per il futuro del Quirinale

La singolare “sortita” del ministro Giorgetti – che ha proposto il Quirinale per Draghi, assegnando però a tale ruolo anche un potere “parziale” sul Governo – non ha creato sconcerto soltanto all’interno della Lega, dove da tempo esiste una rivalità con il leader Salvini, ma anche tra tutte le forze presenti in Parlamento. Giorgetti, forse non volendolo neppure, ha riaperto una vecchia piaga del mondo politico sul ruolo di fatto del Capo dello Stato. Come è stato già detto, a voler leggere alla lettera la Costituzione, il Presidente della Repubblica è una sorta di “notaio” dei supremi poteri senza un ruolo reale nella gestione dell’esecutivo.  Ha solo l’incarico di scegliere il presidente del Consiglio o , in casi estremi, di sciogliere le Camere e di indire nuove elezioni. Nel corso della storia della Repubblica non sono mancate oscillazioni nella gestione del ruolo supremo dello Stato. Ci sono stati interventi pesanti di Presidenti e ci sono state proposte di modificazione della Costituzione stessa, ma poi senza alcuna reale operazione politica concreta. In realtà, alla luce della situazione odierna, la realtà è un’altra. Tutti i partiti presenti in Parlamento sono fragili e nessuna delle coalizioni in campo è sicura di vincere le elezioni. Il “supergoverno” di Draghi, capace si superare i piccoli e grandi contrasti, nonché con un forte prestigio a livello internazionale, per il momento consente di superare le difficoltà storiche (pandemia, crisi economica, fragilità internazionali) puntando alla crescita a tutto tondo. Alla fin dei conti, tutti i partiti, sottobanco, tirano un sospiro di sollievo, perché nessuno, in condizioni ordinarie, ce l’avrebbe fatta sino a questo momento. Ma l’elezione del presidente della Repubblica a febbraio, la nuova ondata di voto amministrativo in primavera e le politiche “obbligatorie” del 2023 stringono tutti ai fianchi. C’è un aspetto curioso: nessuno ha fretta di anticipare le elezion9i politiche, neppure Giorgia Meloni , unica all’opposizione. Il voto, oltre al problema del forte taglio dei parlamentari, altererebbe la forza di un po’ tutti i partiti, considerati i dubbi e le incertezze che sovrastano l’oscillate umore degli elettori. Pesanti certamente i tagli di Italia Viva, del M5s e di Forza Italia, ma sicuramente forti dubbi anche per il Pd, la Lega e, persino gli stessi Fratelli d’Italia. Al tempo stesso la domanda più pesante si impone: il governo Draghi è di “salute pubblica”, nato dall’ emergenza : quanto potrà durare? E Draghi è disposto a proseguire la sua marcia che, di giorno in giorno, si fa sempre più difficile? Ma la riforma delle due Camere ha lasciato in sospeso la questione, tutt’altro che trascurabile,  della riforma elettorale. E qui nascono nuovi contrasti, perché in Italia ciascuna forza escogita sistemi complessi per non “rimetterci” troppo o per sfruttare presunti vantaggi. C’è chi vuole la proporzionale “quasi” pura (i piccoli partiti in particolare), chi la proporzionale con lo sbarramento, chi il sistema maggioritario e chi persino il maggioritario con premio. In questo gioco c’è chi vorrebbe  puntare a una repubblica semipresidenziale con elezione diretta del Capo dello Stato (simile al sistema francese) e chi difende il disegno della Costituzione. Nessuno ha la forza per imporsi e gli accordi tra le parti sono difficile e, varrebbe la pena di dire impossibili, vista l’esperienza del passato. E allora? Ancora una volta, sempre secondo il costume italico, si naviga a vista. La questione della successione di Mattarella (che sembra deciso a lasciare e a non ripetere l’esperienza del suo predecessore Napolitano che molto invocherebbero)  si fa sempre più complicata. E non c’è solo discussione e quasi rissa tra i partiti ma all’interno dei partiti stessi (vedi la Lega, ma anche il Pd non scherza) dove nascono e muoiono i poche ore sogni proibiti e irreali (Berlusconi) o velleità )(Casini). Ma di concreto, per ora, c’è poco.