Sampdoria, con la Fiorentina in campo aggressiva e rapinatrice come a Venezia

di Claudio Mangini

4 min, 37 sec

Cominciamo dalla fine, anzi dal futuro. Lunedì 16, giornata 37, penultima di campionato, la Sampdoria giocherà a Marassi contro la Fiorentina di Italiano, uno degli allenatori presi in considerazione l’estate scorsa e scartato da Ferrero perché costava troppo (ingaggio, più penale obbligata per liberarsi dallo Spezia). E’ un allenatore giovane, con delle idee, uno dei migliori in Italia. E la sua Fiorentina, anche se ha perso Vlahovic, insegue un posto in Europa, gioca un bel calcio, alterna partite molto belle a passi falsi inattesi, e ha qualità complessive superiori a quelle della Sampdoria. Sta, in classifica, dove deve stare. La Sampdoria, invece, in quei 90 minuti si giocherà la vita: un anno, una stagione, un campionato, il destino futuro. Perché, lo abbiamo detto cento o mille volte, salvarsi significa per la società Sampdoria poter essere appetibile per il passaggio di proprietà. E allora, la Sampdoria dovrà giocare contro la Fiorentina, una partita come quelle contro il Verona, il Genoa, il Venezia, magari l’Empoli o il Sassuolo, non come contro Bologna, Roma e Lazio. Dovrà stare in campo bene come nel derby, essere aggressiva e rapinatrice come a Venezia, dovrà essere messa bene in campo e dovrà cogliere le occasioni. Dovrà, dovrà… E magari dovrà pure essere brutta, sporca, cattiva, perché no?, perché quando ti giochi la vita non hai seconde chance. La seconda chance si chiama Inter in lotta per lo scudetto a San Siro, e non è praticabile.

Siamo arrivati a questo, alla partita che non ha appello, al salto senza la rete sotto, per tanti motivi che hanno radici lontane e di cui si è parlato un’infinità di volte. L’ultima tappa è stata la sconfitta dell’Olimpico contro la Lazio. Dopo un primo tempo-partita a scacchi, con la Sampdoria che ha limitato gli avversari, sprecando due occasioni, la prima delle quali clamorosa con Thorsby, solo, centrale, smarcato in un contropiede, micidiale anzi no. Poi, un gol subito per la miliardesima amnesia difensiva stagionale e un secondo tempo non giocato sul piano della volontà di reazione tantomeno su quello della sostanza. E la Sampdoria del derby? Quella che ha soffocato il gioco soffocante del Genoa? Volatilizzata. Incapace la Sampdoria, come in molte altre occasioni, del cambio di passo, di ritmo, di atteggiamento e di tasso agonistico. Incapace di reagire, in sintesi. Ci sarebbe piaciuto vedere, dopo cinque o dieci minuti del secondo tempo, prima del colpo da ko di quel limpido folletto – somma e sintesi di classe e pulizia del gesto – che è Luis Alberto, ci sarebbe piaciuto, dicevamo, vedere un sussulto anche tattico, un ricorso all’amato 4-3-1-2, che sarebbe diventato speculare al 4-3-3 sarriano: vedere Sabiri alle spalle di Caputo-Quagliarella o Damsgaard alle spalle di Quagliarella-Sabiri. La sfiga, nel calcio, non c’è mai ma c’è sempre. Se servisse a qualcosa, se non a rosicare ancora di più, si potrebbe immaginare quella palla colpita così angolata dal capitano finire sul palo interno e schizzare dentro anziché fuori per centimetri. E poi, con 4 minuti da giocare, Supriaha in campo, e una capocciata del ragazzone ucraino per scacciare i suoi e i nostri cattivi pensieri.

Invece, no. E’ andata come è andata. La Lazio è superiore alla Sampdoria. La Sampdoria ha sulla propria strada, in questo finale si campionato, solo squadre che hanno motivazioni forti, o massime, mentre molte avversarie no, o non sempre. La Lazio ha un organico di buona-alta qualità e la Sampdoria ha un organico di discreta-buona qualità: è un gradino sotto, nella caratura, o più probabilmente due. Se poi togli Ekdal, che aveva diretto l’orchestra nel derby, e togli Sensi, che è un irrisolto ma di qualità, ecco che la Sampdoria, contro la Lazio, era appunto due spanne sotto. E poi, chi tifa può pensare, auspicare, sperare, anelare che un allenatore riesca con una mossa tattica a cambiare i valori. No: non funziona così. O meglio, qualche volta funziona, la maggior parte no. E se la Sampdoria di questa stagione è sempre lì, con l’acqua appena sopra la gola e appena sotto la bocca, un motivo ci sarà. Forse Marco Giampaolo ha voluto evitare che una sconfitta diventasse goleada, forse ha pensato che bisognasse preoccuparsi, a quel punto, incrinato il vaso di cristallo che era rimasto tutto intero fino al gol di Patric al minuto 41, di risparmiare Caputo, che aveva giocato un derby con un dito fratturato e magari non solo lui.

Reset. La Fiorentina, appunto. Serve chiamare i tifosi? No: faranno la loro parte e anche di più. Serve ricordare cosa significa questa partita? Sì, ma lo sanno tutti, da Quagliarella in giù. Servono esempi? O serve la Treccani? Approccio: metodo o atteggiamento mentale o prospettiva particolare con cui si affronta lo studio di un problema. Trasportate il concetto su un prato di 110 per 65. Ci siamo capiti, l’approccio? Ah, già, l’esempio: 25 aprile 2010: la Sampdoria va all’Olimpico contro la capolista Roma, che sogna lo scudetto. Mancano tre giornate alla fine: segna Totti, ma la Sampdoria la ribalta con due reti di Pazzini. Samp in Champions, scudetto all’Inter, Roma in lutto. Tre aggettivi da mandare a mente – da una cronaca di quella partita - per la Sampdoria delneriana di quel giorno: attenta, quadrata, spietata.