Processo Morandi bis: rischio trasferimento a Roma e prescrizione
di Redazione
Il collegio giudicante del tribunale ligure ha infatti accolto l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dai legali di Giovanni Castellucci
Il processo cosiddetto Morandi bis, nato dopo il crollo del Ponte Morandi del 14 agosto 2018 – tragedia che costò la vita a 43 persone – potrebbe spostarsi da Genova a Roma. Il collegio giudicante del tribunale ligure ha infatti accolto l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dai legali di Giovanni Castellucci, ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia (Aspi).
Gli avvocati Lorenzo Contrada e Carlo Longari hanno sostenuto che la competenza territoriale debba essere attribuita a Roma, in quanto il reato più grave contestato – quello di falso – si sarebbe perfezionato solo nel momento in cui i dati manipolati sono stati inseriti nel database centrale, con sede nella Capitale, diventando così accessibili ai committenti e immodificabili. Per l’accusa, invece, i falsi si sarebbero realizzati a Genova, dove sono stati redatti i report.
Sarà ora la Corte di Cassazione a stabilire definitivamente la sede del processo, che resta sospeso fino al 27 novembre, in attesa del pronunciamento degli Ermellini.
Il procedimento coinvolge 46 imputati, accusati a vario titolo di falso, frode, crollo colposo e attentato alla sicurezza dei trasporti. Al centro dell'inchiesta, i report addolciti sullo stato dei viadotti, le barriere fonoassorbenti difettose e numerose gallerie non a norma.
Durante le udienze precedenti è stata ammessa come parte offesa l’associazione Comitato Ricordo Vittime Ponte Morandi, insieme ai comuni di Genova, Masone, Rossiglione, Campo Ligure e Cogoleto. Sono stati invece esclusi i sindacati e le associazioni dei consumatori.
L’inchiesta ha preso le mosse dal crollo del ponte sul Polcevera e si è poi allargata, portando alla luce presunte irregolarità nella manutenzione dell'intera rete ligure. Secondo le indagini della Guardia di Finanza, coordinate dai pm Stefano Puppo e Walter Cotugno, i tecnici di Spea – la società incaricata della sorveglianza – avrebbero ammorbidito i rapporti per evitare costosi interventi strutturali.
Tra gli episodi finiti nell’inchiesta anche il crollo nella galleria Berté dell’A26, avvenuto il 30 dicembre 2019. Le indagini hanno rivelato che alcune barriere antirumore installate in tratti autostradali erano talmente difettose da rappresentare un pericolo per gli automobilisti. In una delle intercettazioni, un indagato avrebbe affermato ironicamente che erano “attaccate con il Vinavil”.
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