La focaccia, un "trofeo" che accomuna popolo e aristocrazia
di Paolo Lingua
Dalla "striscia" semplice a colazione alle varianti regionali, con cipolle, olive, sardenaira
Pubblichiamo un articolo sulla storia della focaccia inizialmente apparso sulla rivista dell'Accademia Italiana della Cucina.
Ancora oggi, in centro e in periferia, nei bar di lusso o nei piccoli caffè, la focaccia – la “striscia” come viene ordinata – accompagna la prima o anche la seconda colazione mattutina.
Cotta su piastra in secoli remoti o poi, dal XVIII secolo, passata nel forno. È quasi una identificazione antropologica che offre continuo adito a discussioni se sia preferibile molto secca e croccante oppure morbida. Abbiamo un curioso documento della seconda metà del XVI secolo che ci racconta, non senza divertimento, della vivace irritazione d’un Arcivescovo che s’era indignato perché i fedeli divoravano “frugalia” fuori e dentro la chiesa, senza rispetto, durante le funzioni e persino nel corso dei funerali.
La citazione del resoconto curiale redatto in latino medievale ci fa fissare la nostra attenzione sulla definizione “frugalia” che deriva da “fruges”, le messi, ovvero il grano o frumento. Nel corso del tempo chi era parco nel cibo veniva definito “frugale”: il che, però non identificava solo chi si nutriva di pane o di farinacei collaterali, ma soprattutto chi non disponeva di mezzi adeguati per procurarsi la carne (sempre un grande sogno) o cibi più elevati. Da “frugalia” a “focaccia” (“fugassa” in dialetto genovese) il passo è breve,
Nel corso del tempo s’è diffusa in Liguria la focaccia con le cipolle e quella con la salvia o le olive intere o a pezzi, in particolare nelle Riviere ma specialmente nella Riviera di Ponente. E proprio nel tratto tra Imperia, Sanremo, Ventimiglia e l’area di Nizza (che geograficamente è Liguria) sono nate e si sono evolute delle focacce più complesse e appetitose, tutte confezionate più o meno con la medesima struttura ma che hanno assunto, via via, denominazioni dialettali differenti e sulle quali vale la pena di soffermarsi. Si tratta d’un crocevia tra l’austera focaccia più peculiarmente genovese e una sorta di cugine prime della pizza, dalle origini remote come tutti i piatti di questo genere, per i quali troviamo le denominazioni dialettali dell’area della provincia di Imperia: “sardenaira”, “pisciarrada”, “piscialandrea” e, nell’area nizzarda, “pissaladière.” Si tratta di focacce morbide (impastate con il latte e lievitate), alte, dai bordi rialzati e croccanti. All’origine erano prodotte “in bianco” e condite con spicchi d’aglio in “camicia” e un po’schiacciati, olive nere taggiasche, acciughe salate, origano e, ovviamente, ottimo olio della zona. In molte variabili ci sono cipolle tagliate fini e appena imbiondite. Dopo la seconda metà del XIX secolo, come del resto per la pizza napoletana, s’è aggiunto il pomodoro. E veniamo all’etimologia che è sempre un esercizio divertente.
Il termine “sardenaira”, secondo una tesi un po’ arzigogolata e riduttiva, deriverebbe da “sardenairi”, ovvero i marinai che compivano tutte le settimane la spola tra la costa ligure e la Sardegna (per pesca, scambi di formaggi, ovini e così via: una storia che parte dal Medio Evo). I marinai si sarebbero portati a bordo la focaccia già confezionata per poi scaldarla prima di consumarla su fornelli a carbone. In realtà la “sardenaira” deriva più semplicemente da una corruzione dialettale del pesce azzurro salato (acciughe o sardine) sempre presente sulla nostra focaccia, molto probabilmente impiegando il “macheto” che è una rudimentale pasta d’acciuga salata, macinata e conservata sott’olio, quasi certamente discendente del “garum” romano. Il termine provenzale “pissaladiére” ha la stessa origine, perché la focaccia è condita con il “pissalat” (in ligure “pescisae” ovvero pesci salati). Nel nizzardo, vale la pena di ricordarlo, è meno frequente l’impiego del pomodoro e invece è un elemento fisso la cipolla rosolata.
E veniamo, in conclusione, a “pisciarrada” e “piscialandrea”. Nel primo caso resta la radice dominante delle acciughe salate o del “macheto”. Nel secondo caso c’è stata una forzatura ottocentesca secondo la quale, senza alcun documento o fondamento, sarebbe stata una golosità di Andrea Doria, principe e ammiraglio (1466 – 1560), solo per il fatto d’essere nato a Oneglia. Tutto bonariamente inventato nel nome del folklore. Ma, al di là di ogni considerazione dotta, resta il fatto della presenza, ovunque e sempre, delle varie focacce. Valgono sempre la pena d’un spuntino, se non con il caffè mattutino, meglio ancora con i bicchiere di vino bianco del posto (da bere sul posto, come sosteneva Mario Soldati).
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