L'avvenire incerto della siderurgia in Italia

di Paolo Lingua

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L'avvenire incerto della siderurgia in Italia

La vicenda dell’ex Ilva, un tempo colosso della siderurgia italiana ed eccellenza produttiva, protagonista del “boom” del dopoguerra, si fa sempre più complessa e contradditoria. Dopo l’uscita di scena della Finsider, una della branche dell’Iri e la gestione, non felicissima, del gruppo privato Riva, nel 2018 era subentrato il colosso internazionale Arcelor Mittal. Si sperava in una tenuta e in una ripartenza aggressiva. Invece, man mano che il tempo è passato, la multinazionale ha modificato di volta in volta i patti.

L’ultima proposta è d’un taglio di 3200 posti di lavoro su 10500 attuali (ma sulla carta) e poi l’eliminazione di oltre 1600  cassaintegrati che non rientrerebbero più al lavoro. La produzione scenderebbe subito dagli attuali 8 milioni di tonnellate a 6 milioni con possibilità di ulteriore discesa. In pratica, un taglio della metà. La reazione dei sindacati è stata, come era ovvio, la proclamazione di 24 ore di sciopero generale e la riapertura d’una trattiva con il governo e di una ripresa di un confronto, se possibile, con Arcelor Mittal. Ma quali potrebbero essere gli esiti di una situazione che si fa di giorno in giorno più drammatica.

Ci sono molti interrogativi irrisolti sulle reali strategie della multinazionale: sin dal momento dell’acquisto aveva intenzione di ridimensionare o addirittura tagliare fuori dal mercato mondiale la ex Ilva? Il gruppo non intende investire somme considerevoli per la bonifica ambientale di Taranto, urgente e necessari? Oppure vuole tirare la corda sino all’estremo? E’ pentita dell’acquisto, ma pare strano che un’impresa di quel livello non fosse a conoscenza dello “status” della situazione italiana. Per ora nessuna risposta, eccetto la durezza spregiudicata nella trattiva. E il governo italiano quali strategie conta di mettere in campo? A quel che si dice (ma tutto è da valutare con prudenza) esistono contrasti tra i partiti di governo.

I renziani hanno sempre sostenuto la possibilità di sostituire Arcelor Mittal con altri acquirenti italiani, anche se la strategie è rimasta per ora sospesa nell’aria.  Da parte del M5s, invece, si punterebbe a un ritorno alla statalizzazione dell’impresa, scelta che accollerebbe ai bilanci pubblici la impegnativa operazione di purificazione di Taranto (gli altri stabilimenti, Genova e Novi Ligure non hanno problemi ambientali). Il Pd forse punterebbe a una soluzione più mediata e articolata, con una partecipazione pubblica di minoranza, lasciando una quota azionaria di minore entità ad Arcelor Mittal o a un eventuale nuovo socio privato.

Tutte le ipotesi in campo sono per il momento vaghe e non sembra neppure del tutto chiaro come sia possibile trovare un’intesa equilibrata a tre (Arcelor Mittal, governo, sindacati). Inoltre, per il momento, non si è parlato di investimenti da mettere in campo. Resta, per forza di cose, la posizione dura del sindacato che continua a martellare sul fatto che Arcelor Mittal ha continuato a modificare il suo progetto iniziale andando sempre più in discesa. L’attesa d’una soluzione appare snervante, ma la crisi della siderurgia suona sinistra proprio in un momento nel quale, almeno a parole, il governo parla di ripartenza post-coronavirus e propone gli stati generali dell’economia.