L'arte di Ivan Falardi: una mostra a Genova, nell'area archeologica di San Donato
di Stefano Rissetto
Il maestro usa la tecnica del Light Painting, usata per la prima volta da Man Ray
Si inaugura l'11 luglio alle ore 18 a Genova la mostra EYES, 206 punti di vista, dell’artista fotografo Ivan Falardi, un percorso espositivo appositamente concepito per svilupparsi tra i resti murari dell’Area Archeologica di San Donato. il sito, che traccia e mostra l’articolato sviluppo urbanistico della città di Genova dal I secolo a.C. all’età moderna, per la prima volta ospita una mostra di arte contemporanea di grande estensione, in dialogo con il passato.
Anche per Ivan Falardi è la sua prima mostra a Genova, per la quale ha pensato e realizzato un’installazione site specific per il sito archeologico: 103 coppie di occhi create con la tecnica del Light Painting, un processo sperimentato per la prima volta da Man Ray nel 1935 e caratteristico dell’attuale produzione artistica di Falardi, che prima della fotografia si è a lungo dedicato alla regia cinematografica e televisiva. Questa tecnica consente di creare volumi, forme e sagome policrome attraverso sorgenti di luce mosse dal fotografo davanti all’obiettivo senza che l’autore rimanga impresso nello scatto.
Le opere di EYES sono stampate con ChromaLuxe, tipologia di stampa su metallo, che garantisce una qualità impeccabile e ha l'importante prerogativa di utilizzare materiali riciclati ed è riciclabile a sua volta al 100%.
103 coppie di occhi sono 206 punti di vista, nell’intenzione dell’artista vogliono evocare i punti di vista degli abitanti dell’antica comunità un tempo qui insediata, i loro sguardi, i loro confronti visivi e i loro incontri consumati quotidianamente nel percorrere e ripercorrere quegli spazi. La realtà in cui tali individui vivevano, viene richiamata da occhi contemporanei, affidati metaforicamente alle pietre levigate dal tempo dei diversi “punti” interessati dalle stampe.
Il giorno dell'inaugurazione, le 103 coppie di occhi saranno pian piano disvelate dal buio del tempo al pubblico, nel corso di una performance che vedrà protagonista l’artista ed altri performer: l’area archeologica da “oggetto” osservato si trasformerà in “entità” osservante, portando il visitatore a vivere l’inversione della relazione fruitore-sito con una distorsione della realtà e della percezione.
“Gli occhi”, afferma l’artista, “generano una vitalità teatrale improbabile in un’area archeologica: parlano un linguaggio cromatico singolare e invitano il pubblico a interagire”: “Per dirla alla Pirandello”, continua Falardi, “in quel sentirsi osservati con tanta intensità si nasconde l’urgenza di fare un passo ulteriore, di stravolgere per un attimo la natura distratta del nostro sguardo per trasformarlo in formidabile strumento introspettivo”.
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