Genova, fra i resti del Morandi il reperto B132: da qui è partito il crollo
Davanti al cimitero di cavi di acciaio arrugginiti e calcestruzzo, i mazzi di fiori deposti ogni mese dalla madre di Mirco, morto nel capannone Amiu
Video momentaneamente non disponibile.
Ecco il grumo di cavi di acciaio del reperto B132 di Ponte Morandi che Autostrade per l'Italia avrebbe dovuto curare e invece non ha mai curato. Ha dimenticato di monitorare giocando con la vita delle persone nonostante il tempo e i chiari segnali che arrivavano pure dai sensori fuori uso dal 2015.
Fa impressione trovarsi davanti un pezzo di cemento "ammalorato", come lo definiscono i periti, e quei fili arrugginiti, corrosi, mangiati dall'incuria, molto probabilmente la vera causa del crollo del 14 agosto del 2018 costato la vita a 43 persone.
Uniche tracce di vita, una pianta che si è fatta largo fra il pavimento di cemento e un uovo di piccione finito chissà come in un cassone, il ventre della carreggiata del Morandi, altre parti del ponte mai curate.
L'ultima ipotesi, forse quella definitiva sul perché del crollo, potrebbe essere avvalorata in autunno, a settembre quando i finanzieri del Primo gruppo titolari delle indagini consegneranno al giudice gli esiti degli accertamenti e delle perizie per spiegare l'iscrizione sul registro degli indagati di 71 persone, dirigenti e tecnici, più un soggetto giuridico, Autostrade per l'Italia,
Siamo nel capannone ex rimessa Amiu sotto il nuovo ponte di Genova, un'area trasformato in deposito dalla procura per stoccare le macerie del ponte Morandi utili all'inchiesta avviata per accertare le cause del crollo.
Dal video più importante dell'indagine, quello della Ferrometal, si evidenzierebbe che il distacco del ponte sarebbe partito proprio da reperto B132, dalla parte più alta dell'"antenna", gli stralli della pila nove, l'inizio della fine.
Una volta nel buio dell'hangar, vigilato 24 ore su 24 da guardiani, ci si trova nel silenzio più assoluto, fra polvere e macerie di calcestruzzo.
Pezzi di asfalto, catrame, cavi, guaine, blocchi di cemento di ogni dimensione. Cilindri di calcestruzzo esaminati persino in sofisticati laboratori svizzeri. Un camposanto dove le lancette della vita sembrano ferme al quel tragico 14 agosto del 2018.
Sopra il deposito ora corre il nuovo ponte Genova San Giorgio, e la sua sagoma leggera rispetto al monumentale Morandi, e i suo rumori, sordi, quasi lontani, da qua sotto appaiono ugualmente sinistri.
Davanti all'hangar, aldilà di un cancello, due dei veicoli precipitati nel baratro, il famoso camion che trasportava un rotolo di acciaio che per tanto tempo si credeva concausa del crollo. L'autista è stato fra i pochi che si sono salvati.
Più avanti un furgone bianco, dove invece hanno trovato la morte due giovani albanesi in viaggip per lavoro.
Dinnanzi al deposito c'è un cumulo di pietre e un telo. E' quel che resta dell'isola ecologica dell'Amiu dove sono morti due dipendenti in prova Bruno Casagrande e Mirko Vicini.
La mamma di Mirko, Paola, da quel giorno, ogni 14 del mese, lascia un mazzo di fiori davanti al cancello: “E' un modo per sentirmi accanto a mio figlio - ci ha detto la donna con un filo di voce -, e lo farò sino a quando avrò la forza di farlo”.
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