Diga di Genova: la posa è stata una “non posa”, aumentano le incognite

di Redazione

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Le ombre in un carteggio rivelato dal "Secolo XIX" tra tecnici dell'Autorità portuale e consorzio costruttore

Diga di Genova: la posa è stata una “non posa”, aumentano le incognite

La posa del primo cassone della nuova diga di Genova è stata una “non posa”. Il cassone, arrivato dal porto di Vado al traino del rimorchiatore Gianemilio C, è arrivato regolarmente nel sito del previsto affondamento, senza essere immerso. In margine alla cerimonia di venerdì, si è imputato il ritardo al maltempo nella zona del “campo prova n. 1”. Altre fonti hanno riferito il ritardo alle condizioni dello “scanno”, il basamento di posa del cassone, che non sarebbe consolidato in modo sicuro.

Nella giornata di sabato il cassone è stato zavorrato di acqua e materiali inerti e la procedura di affondamento dovrebbe compiersi entro le 24 ore successive. Ma su tutta l’operazione restano importanti incognite.

Ai primi del mese l’Autorità di sistema portuale di Genova, come ha rivelato il Secolo XIX , aveva sollevato rilievi rivolgendosi al consorzio costruttore della diga, rilevando “ritardi nell’esecuzione dei Campi Prova per cause unicamente imputabili a codesto Appaltatore”. Questo in una nota del 2 maggio, a firma di Giuseppe Galluzzo (direttore lavori) e Marco Vaccari (responsabile unico procedimento), cui la settimana successiva seguiva un’altra nota di Vaccari: “Alla luce del fatto che la posa dei cassoni cellulari lungo l’impronta della nuova diga foranea di Genova è prevista a partire dal 24 maggio p.v., in assenza delle risultanze dei Campi Prova necessarie per la verifica dei requisiti di progetto e la definizione del necessario dettaglio del trattamento dei fondali, sarà unicamente onere e responsabilità di codesto Appaltatore di intraprendere ogni azione necessaria a garantire la piena realizzabilità dell’opera a regola d’arte, in accordo ai requisiti di progetto e alle previsioni contrattuali, assicurando il completamento dei lavori entro gli inderogabili termini del 30 novembre del 2026”. Ovvero: non sono stati conclusi i campi prova da cui deriva la sicurezza, preventiva e indispensabile, che le tecniche applicate abbiano escluso il pericolo di cedimento della struttura. Un problema di sicurezza diventato esplicito durante la cerimonia di venerdì, davanti al ministro Matteo Salvini (nella foto alla cerimonia di venerdì 24 maggio) titolare del dicastero delle Infrastrutture che sulle opere pubbliche ha compiti inderogabili di vigilanza. Tutto in uno scenario in cui i lavori sono già indietro: a fine 2023 l’avanzamento era a 2,5% invece di 12% del cronoprogramma. E la prova sarebbe stata compiuta senza questo essenziale requisito. Circostanza che con ogni probabilità, scatenerà le domande e le proteste delle opposizioni in Liguria e a Roma. Il primo cassone, 40 metri x 25 e alto 22, è tra i più piccoli del progetto, sarà posato a 20 metri nel tratto di mare meno profondo, ma la quota dei prossimi oltre 100 cassoni scenderà sino a 50 metri.

All’epoca il direttore tecnico, ingegner Piero Silva, denunciando l’alto rischio di collasso della struttura, chiese invano di ridimensionare il progetto pur mantenendo le funzionalità principali, oltre a quella dichiarata da Signorini, ex presidente del porto che aveva lavorato all’opera: permettere l’accesso delle portacontainer giganti alle banchine in concessione a Msc e al Gruppo Spinelli. Silva lasciò l’incarico.