Stati Uniti, cresce il fronte per il voto popolare: i possibili effetti sulla lotta al cambiamento climatico

di Andru

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Stati Uniti, cresce il fronte per il voto popolare: i possibili effetti sulla lotta al cambiamento climatico

Secondo quanto riportato da cleantechnica.com, il movimento dei governatori democratici a favore del National Popular Vote Interstate Compact (NPVIC) potrebbe ridefinire le dinamiche del sistema elettorale statunitense e avere conseguenze dirette sulle politiche climatiche. Il patto ha già raggiunto 209 voti elettorali e ne servono ancora 61 per diventare operativo, garantendo che il presidente eletto sia il candidato con più voti popolari a livello nazionale.

Sistema elettorale – Negli Stati Uniti per diventare presidente occorre ottenere almeno 270 dei 538 voti elettorali disponibili. Dal XIX secolo, ogni Stato (eccetto Maine e Nebraska) assegna i suoi voti al candidato che vince la maggioranza popolare all’interno dei confini statali. Questo meccanismo ha spesso ridotto il peso del voto dei cittadini in aree meno contese, mentre ha reso decisivi pochi Stati in bilico. Il NPVIC si propone di ribaltare questa logica, obbligando gli Stati aderenti ad assegnare i voti al vincitore del voto popolare nazionale.

Adesioni – Finora hanno approvato il patto 17 Stati e il District of Columbia, per un totale di 209 voti elettorali. Ne servono altri 61 per raggiungere la soglia minima di 270. L’organizzazione National Popular Vote sostiene che l’adozione del sistema “un cittadino, un voto” garantirebbe una maggiore rappresentatività e costringerebbe i candidati a fare campagna in tutti i 50 Stati. Alle presidenziali del 2024, infatti, il 94% degli eventi elettorali si è concentrato in soli sette Stati, lasciando ai margini il resto del Paese.

Tensioni politiche – La discussione sul voto popolare si inserisce in un quadro di crescente attivismo dei governatori democratici. Secondo la newsletter della giornalista Teresa Hanafin, citata da cleantechnica.com, i rappresentanti di diversi Stati “blue” coordinano strategie comuni anche attraverso incontri online quotidiani tra procuratori generali, pronti a contestare con cause immediate eventuali decisioni federali. “L’infrastruttura è costruita. I precedenti legali ci sono. I fondi sono disponibili”, ha dichiarato l’analista politico Chris Armitage, sottolineando come questi Stati stiano preparando strumenti di pressione politica.

Divisioni economiche – Un altro dato emerso riguarda la distribuzione fiscale: oltre la metà dei 19 Stati che versano più fondi al governo federale di quanti ne ricevano indietro sono a guida democratica. Il divario tra “giver states” e “taker states” alimenta tensioni e rafforza l’idea di un crescente distacco politico ed economico tra aree blu e rosse.

Implicazioni sul clima – La riforma del voto non avrebbe solo effetti istituzionali ma anche ambientali. Le ricerche mostrano che gli elettori con redditi più alti e maggiore istruzione, tipicamente presenti negli Stati democratici, sono più propensi a considerare il cambiamento climatico una priorità politica. Questo orientamento potrebbe tradursi in un sostegno più ampio a politiche di riduzione delle emissioni e allo sviluppo delle energie rinnovabili. La maggiore esposizione dei cittadini urbani all’inquinamento da combustibili fossili rafforza inoltre la possibilità di un consenso trasversale, indipendente dall’appartenenza politica.

Prospettive – Il legame tra riforma elettorale e politiche climatiche mette in luce come la questione del voto popolare possa incidere sulle scelte strategiche del Paese. Se il NPVIC entrerà in vigore, le future campagne presidenziali potrebbero avere un impatto diretto sull’agenda ambientale statunitense, ampliando il ruolo degli Stati più sensibili ai temi della sostenibilità.

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