Riciclo organico, troppi scarti nei rifiuti: lo studio dell’Università di Roma Tor Vergata
di Sagal
Scarti medi del 21,9% negli impianti di trattamento dei rifiuti organici: ecco le inefficienze da correggere e le possibili soluzioni
Il 21,9% dei rifiuti trattati negli impianti di riciclo organico finisce in discarica. Un dato preoccupante, emerso dallo studio del Dipartimento di Ingegneria Civile e Informatica dell’Università di Roma Tor Vergata, commissionato da Biorepack, che analizza le cause e propone soluzioni per migliorare un sistema che rischia di essere antieconomico e lontano dagli obiettivi europei.
Scarti eccessivi – Lo studio ha coinvolto 112 impianti italiani che trattano complessivamente 4,8 milioni di tonnellate di rifiuti organici all’anno, evidenziando una media di materiali non compostabili in ingresso del 7,1%, ma con uno scarto finale che triplica questa percentuale. Soltanto 31 impianti riescono a mantenere gli scarti sotto il 15%, considerato il limite di efficienza economica.
Analisi territoriale – Friuli Venezia Giulia, Veneto e Lombardia si distinguono per efficienza, mantenendo gli scarti sotto il 15%. Al contrario, 12 Regioni superano il 20%, con criticità evidenti soprattutto al Sud. Regioni come Puglia, Liguria e Piemonte registrano risultati intermedi, con percentuali tra il 15 e il 20%.
Migliorare la raccolta – Secondo i ricercatori, uno dei principali problemi risiede nella qualità della raccolta differenziata. Per ottenere un “umido” più pulito, servono etichette chiare, campagne di sensibilizzazione e incentivi economici, come le tariffe decrescenti legate alla presenza di materiali non compostabili, già sperimentate con successo in alcuni Comuni da Biorepack.
Ottimizzare gli impianti – Un altro aspetto cruciale riguarda l’efficienza degli impianti stessi. Tempi troppo brevi nella fase aerobica del compostaggio compromettono la qualità del prodotto finale. “Seguire le indicazioni tecniche, con almeno 9-10 settimane per il processo aerobico, è essenziale per ottenere un compost di qualità agricola”, sottolineano gli esperti.
Il ruolo delle bioplastiche – Le bioplastiche compostabili, spesso additate come causa di inefficienze, si rivelano invece una risorsa negli impianti ben gestiti. “Contribuiscono ad aumentare la quantità di materiale riciclato e riducono gli scarti di processo”, afferma lo studio. Tuttavia, negli impianti meno efficienti, le bioplastiche finiscono scartate insieme ad altri materiali biodegradabili, evidenziando come il problema sia legato alla gestione più che alla loro presenza.
Prospettive future – Per massimizzare il riciclo, i gestori dei rifiuti devono accogliere nella FORSU tutte le matrici biodegradabili, inclusi gusci di uova, noccioli di frutta e manufatti compostabili. Una gestione più inclusiva e attenta ai tempi di trattamento potrebbe fare la differenza, rendendo il sistema non solo più sostenibile ma anche economicamente vantaggioso. Lo studio rappresenta un invito a ripensare l’intero ciclo del compostaggio, puntando su una maggiore qualità della raccolta e sull’efficienza degli impianti per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità e riciclo fissati dall’Europa.
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