Il trasporto merci ferroviario è un asse strategico per l’economia del Pease ma è in difficoltà, la sua quota modale è ancora troppo bassa rispetto a quella della gomma: 12% circa in Italia, 17% in Europa contro rispettivamente l’84% e l’80% del trasporto su strada. E, come se non bastasse, i compiti che la stessa Europa ha assegnato a tutti per casa non sono più rimandabili: entro il 2030 la quota ferroviaria deve arrivare al 50% e questo non solo per aumentarne i volumi ma anche perché bisogna abbassare le emissioni di CO2, che entro il 2050, dovranno essere pari a zero. Bisogna perciò rilanciare il settore e servono investimenti.
Se ne occuperà a Venezia l’Uip, l’Unione internazionale dei detentori di carri merci, i cui membri provenienti da 14 Paesi trasportano il 50% del totale delle tonnellate-chilometro attraverso il vecchio continente. L’evento, previsto per il 30 maggio, in collaborazione con Assoferr, l’associazione degli operatori ferroviari e intermodali e patrocinato dal Ministero dei Trasporti italiano, vedrà la partecipazione dei più influenti player del settore come Rfi, Mercitalia, Ansfisa, aziende private, rappresentanti di istituzioni locali e internazionali.
“L’Europa punta ad una maggiore crescita del trasporto merci ferroviario “, afferma David Zindo, presidente Uip. “E gli unici che possono realizzare un consistente trasferimento di merci dalla strada alla ferrovia sono solo i clienti e gli spedizionieri scegliendo appunto il trasporto su rotaia. Ma l’unica possibilità per cui ciò accada è che tutto il sistema diventi più moderno. Per questo c’è bisogno di maggiori investimenti”.
E la risposta tecnologica, secondo Uip, è già disponibile ma costosa: si tratta del Dac, accoppiamento automatico digitale, che non solo è in grado di aumentare l’efficienza del trasporto ferroviario attraverso processi di automazione ma anche di immagazzinare energia. Il treno diventa un unico vettore energetico che preleva energia dalla catenaria e poi, grazie all’accoppiamento automatico digitale, la cede all’intero convoglio. Una vera innovazione se pensiamo, ad esempio, ai vagoni refrigerati che trasportano merci deperibili, che oggi fanno affidamento su batterie dalla durata limitata. Gli altri vantaggi? Riduzione dei costi e dei tempi delle procedure, aumento dei volumi (si stima un +30 per cento grazie alla possibilità di realizzare treni più lunghi e pesanti), una maggiore riduzione del rischio di deragliamento, una raccolta e trasmissione di dati utili, quindi un aumento della sicurezza sull’intero convoglio.
Ma chi paga? “Sulle infrastrutture – continua Zindo – lo strumento del Recovery and Resilience Facility ha giocato un ruolo chiave ma non comprende gli onerosi investimenti per i mezzi che restano quindi a carico delle aziende. Va ricordato che il 90% del denaro investito in questo segmento proviene dall’attività dei privati per il noleggio dei vagoni merci. Ad oggi, tutti i costi per questi mezzi sono sostenuti privatamente dai membri dell’Uip”.
“Come associazione – conclude Zindo – chiediamo quindi all’Europa di sostenerci e di inserire gli investimenti per il Dac nei fondi previsti per il trasporto ferroviario, stimati in circa 13 miliardi a copertura dell’intero sistema. Ma è necessario creare condizioni di parità per la modernizzazione, con l’obiettivo di dotare tutti i vagoni merci interessati di Dac entro il 2030, con modelli di finanziamento selettivi a livello europeo e nazionale. Questo è un “treno” che non possiamo perdere”.