La storia di Irina: dalle bombe di Dnipro al trapianto di fegato al San Martino
di Marco Innocenti
La ragazza faceva parte dei profughi arrivati a Genova lunedì mattina ma per lei il destino aveva in serbo molto di più
A volte il destino si diverte a giocare con le vite di noi esseri umani, è inutile negarlo. Ne è la prova la storia di Irina: partita dalla sua città natale in Ucraina per sfuggire alla guerra, si è ritrovata probabilmente nel posto giusto al momento giusto. E non solo una volta ma bensì due! Ma andiamo per ordine. Prima della guerra, a Irina viene diagnosticata una grave malattia al fegato, per la quale deve prendere alcuni farmaci salva-vita. Dal 24 febbraio, però, è stata costretta a vivere per giorni in uno scantinato per salvarsi dagli attacchi missilistici russi e, complice forse le grandi difficoltà della situazione dopo lo scoppio della guerra, Irina non ha più potuto assumere i suoi medicinali.
Alla fine, Irina decide di abbandonare la sua casa, a Dnipro, rifugiandosi in Polonia e arriva così nel centro profughi di Korczowa dove il destino (di nuovo) le fa incrociare la sua strada con quella della missione umanitaria partita da Genova venerdì 25 marzo, organizzata dalla comunità ucraina e dalle Misericordie liguri con l'obiettivo di portare in Italia un centinaio, fra donne e bambini. Lei è uno dei nomi della lista, alla fine saranno 83, di quelli che alle ore 22 salgono sui due pullman diretti in Italia. E' sola, la madre è rimasta in Ucraina e, in quel momento, nessuno la nota più di tanto. Ma per lei tutto sta per cambiare.
La missione si ferma a Vienna per far riposare autisti e profughi e proprio pochi minuti prima di riprendere il viaggio verso l'Italia, nel tardo pomeriggio di domenica, Irina cade a terra, sbatte la testa sull'asfalto e inizia ad avere delle violentissime convulsioni. Per fortuna, intorno a lei ci sono i militi delle Misericordie e due vigili del fuoco che stanno accompagnando la missione. I soccorsi sono immediati. Mentre altri volontari allontanano i tanti curiosi che si stanno accalcando, parte la chiamata al 118 viennese.
Intanto però Irina non respira, il suo battito sta scendendo e, progressivamente, si ferma. I militi e i vigili del fuoco le fanno il massaggio cardiaco e le disostruiscono le vie aeree. Le convulsioni piano piano finiscono. Si cerca di capire se prenda farmaci particolari ma la ragazza resta in uno stato di semi-incoscienza, è spaventata e non riesce a dare risposte sensate.
Si decide di trasferirla in ospedale a Vienna ma Irina non parla tedesco né inglese quindi con lei resteranno tre militi e una traduttrice. La carovana con gli altri 82 profughi riparte alla volta dell'Italia, restando però in contatto costante con lei. Irina viene trattenuta in osservazione fino al giorno seguente, quando viene dimessa dall'ospedale di Vienna. I medici austriaci le danno il via libera per affrontare il viaggio e venire in Italia.
"La ragazza è arrivata ieri sera a Genova, intorno alle 22, accompagnata dai tre militi della Misericordia e dalla traduttrice che era con noi durante la missione che abbiamo portato a termine lunedì, riportando in Italia 83 profughi - racconta il consigliere comunale Sergio Gambino, che ha preso parte alla spedizione a Korczowa - E' subito stata presa in carico dai medici del San Martino ed ora è ricoverata in attesa di capire come si evolveranno le sue condizioni di salute. In questi giorni, dal momento del suo malore, siamo rimasti sempre in contatto con le tre persone che sono rimaste con lei ed ora siamo felici che possa riprendere le sue cure qui in Italia".
Adesso Irina, come detto, è ricoverata al San Martino. Le sue condizioni restano molto gravi e i medici che l'hanno presa in cura stanno valutando se sarà necessario sottoporla ad un trapianto di fegato. "All'ospedale di Vienna - racconta Alberto Spiri, uno dei militi rimasti con lei in Austria - ci hanno spiegato che la ragazza aveva gravi problemi al fegato. le avevano riscontrato anche un trauma cranico, dovuto alla caduta. La mattina dopo [lunedì, ndr] siamo andati a prenderla ma, quando eravamo già a metà del viaggio, i medici dell'ospedale ci hanno chiamati e ci hanno detto che avevano ricontrollato i suoi valori ed erano troppo sballati, così ci hanno raccomandato di portarla subito in ospedale, una volta arrivati a destinazione".
"Tutta questa missione ci ha lasciato qualcosa - prosegue Alberto - ma il rapporto che si è creato con lei è ovviamente speciale. Ci ha raccontato di aver vissuto per giorni in uno scanticato, tanto che ha contratto una brutta bronchite. E' fuggita con solo un sacchetto di plastica con dentro i pochi indumenti che è riuscita a farci entrare e nient'altro. In quei giorni di fuga, quindi, non è riuscita a prendere le sue medicine e la situazione al fegato è peggiorata, fino alla crisi avuta domenica pomeriggio, proprio sotto i nostri occhi".
Sembra assurdo dirlo, parlando di una persona fuggita dal suo paese per salvarsi dalle bombe, ma l'incontro con i militi delle Misericordie e con i pompieri, probabilmente, le ha salvato la vita. "Durante il viaggio di ritorno - dice ancora Alberto - ci ha raccontato la sua storia, le sue mille sofferenze. Insieme ai colleghi le abbiamo comprato qualcosa, un pigiama, qualche indumento intimo e qualche vestito, e lei non smetteva più di ringraziarci. Ci ha abbracciati uno per uno e ha voluto che restassimo in contatto, dandoci il suo numero e chiedendoci di contattarla anche attraverso i social". La guerra, nel suo orrore, crea anche queste storie di splendida umanità.
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