Genova, l'appello di Giorgia: "Aiutatemi a camminare"

di Anna Li Vigni

5 min, 48 sec

L'anno scorso le è stata amputata la gamba destra. La vita della 27enne è sconvolta ma lei reagisce e lancia una raccolta fondi per avere una protesi

Genova, l'appello di Giorgia: "Aiutatemi a camminare"

Ecco la storia di Giorgia Monte. Abita a Marassi, proprio accanto alla stadio. Mi invita a casa sua e conosco i suoi genitori, suo fratello e la sua compagna. Una ragazza circondata da tanto amore e dal calore di una famiglia unita. Il modo in cui lei sta affrontando la sua tragedia sia di insegnamento a noi tutti e soprattutto mi auguro che Giorgia possa raggiungere il suo sogno riconquistando la sua autonomia ed esprimendo così la sua voglia di vivere come una ragazza della sua età. Il suo racconto personale è il modo più semplice per capire le sue emozioni e le sue tensioni. Forza Giorgia, ce la farai, ce la faremo! 

"Mi chiamo Giorgia Monte, ho 27 anni e vivo a Genova.
Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, come tutti i ragazzi della mia età, ho sofferto la pandemia, il lockdown e, più in generale, le molteplici difficoltà riconducibili all’emergenza sanitaria.
Tuttavia, diversamente dalla maggior parte dei miei coetanei, ho convissuto per mesi con il pensiero della morte, affrontando la diagnosi di un grave linfoma ed un’operazione chirurgica dall’esito nefasto.
Il mio corpo è andato in shock, i miei organi interni sono collassati e solo grazie alla prontezza e alle capacità di un grande medico sono uscita viva dalla sala operatoria.

Purtroppo, proprio a far data da questo miracolo, è iniziato un vero e proprio calvario, nel tentativo di recuperare le funzionalità della mia gamba destra, gravemente compromessa in ragione dell’intervento.
È così che ho trascorso oltre quindici settimane in terapia intensiva, tra febbre molto alta, dolori indescrivibili, setticemia, dialisi, antibiotici e aghi, animata dalla speranza di poter tornare alla mia vita.
Mio malgrado, ho vissuto più di sei mesi all’interno di un ospedale, assumendo cinque antibiotici al giorno per alleviare le mie sofferenze ed acquisendo nozioni mediche di ogni tipo, raccolte nei sette (7) reparti diversi in cui sono stata ricoverata.
Ciò nonostante, alla vigilia delle scorse festività natalizie, qualche giorno prima del mio ventiseiesimo compleanno, mi è stata amputata la gamba destra.
A ciò si aggiunga che, il linfoma, seppur di volume ridotto, è ancora localizzato nel mio addome e questo determinerà, nel prossimo futuro, uno o più cicli di chemioterapia.

Nel corso di questa tragedia personale ho avuto modo di conoscere anche persone di cuore: personale medico e non, che mi è stato accanto nei momenti più duri e con cui ancora oggi sono in contatto, per aggiornarli sui miei progressi.
I legami con i miei affetti, dalla mia compagna agli amici, passando naturalmente per la mia famiglia, sono stati intensificati ad un livello che non credevo umanamente possibile e che non mi ha fatto mai sentire sola, sebbene le restrizioni del Coronavirus mi abbiano concretamente impedito, per mesi interi, di ricevere anche solo una carezza.
La malattia prima e la mutilazione dopo mi hanno costretta a comprendere cosa significhi dipendere dal prossimo.
All’improvviso non mi è stato più possibile compiere le più banali attività quotidiane, come andare in bagno o raccogliere un oggetto da terra.
Sono caduta in depressione, ho smesso di nutrirmi, dormivo in continuazione pur di far passare il tempo e dimenticare dove fossi, sperando un giorno di svegliarmi a casa mia e scoprire che era stato tutto un incubo.
Nei momenti di maggiore solitudine, i pensieri negativi hanno preso il sopravvento e non mi vergogno di dire che ho sfiorato il pensiero di adottare soluzioni senza via di ritorno.
È spaventoso ripensarci adesso, ma quando la tua vita crolla a pezzi e subentra la certezza matematica che niente tornerà più come prima, la mente gioca brutti scherzi.

Ad oggi, continuo ad assumere antidepressivi e sono seguita da una psicologa, figura professionale che si è rivelata fondamentale per comprendere e gestire le mie emozioni in relazione all’inferno appena descritto: mi consente di affrontare quello che è accaduto e di elaborare lo shock in maniera scientifica, riconoscendo i piccoli traguardi che riesco a raggiungere tra una seduta e l’altra.
Guardare in faccia il dolore, la paura e l’ansia accumulate nel corso dello scorso anno mettendo tutto per iscritto è il mio personalissimo modo per andare avanti e lottare per un futuro migliore.
Dal punto di vista riabilitativo, la strada è ancora lunga: le conseguenze dell’amputazione sono infinite ed il percorso per riacquistare la piena funzionalità dei muscoli non è affatto semplice.
Grazie all’opera di una fisioterapista e ad un allenamento quotidiano, oggi riesco a camminare reggendomi ad appositi sostegni con le braccia ed indosso quella che, in gergo, si chiama “cuffia”.
Si tratta di una copertura in silicone per il moncone che, inizialmente lo sgonfia e successivamente regge la protesi.
A fine aprile, ho fatto i miei primi passi su due gambe dopo quasi dieci mesi trascorsi sdraiata o seduta sulla sedia a rotelle: un’emozione che non dimenticherò mai.
Tutto ciò premesso, il cammino è ancora lungo: la protesi che utilizzo è solo provvisoria, giacché il moncone è ancora impegnato nella ricrescita della muscolatura, ed occorreranno ancora mesi prima che la situazione si stabilizzi e sia possibile ordinare un sostegno definitivo.
Inoltre, la protesi è a tutti gli effetti un device tecnologico e come tale soffre di obsolescenza: va cambiato ogni cinque anni.
In questo senso, la ASL mi concede dei supporti basici: una “gamba” molto semplice, non impermeabile, costituita da un invaso in cui si inserisce il moncone, un ginocchio rigido manuale (dove occorre premere una levetta per passare da una modalità all’altra) ed un piede, dal valore complessivo di seimila euro.
Invero, per persone giovani e con un’aspettativa di vita considerevole come la mia, la scienza ha fatto progressi importanti, in grado di ridurre esponenzialmente i disagi connessi alla vita di chi ha subito amputazioni agli arti. Tuttavia, i prezzi sono molto alti, oscillando tra quaranta e novantamila euro.
Non avrei mai pensato di organizzare io stessa una raccolta fondi per un motivo simile e sarò onesta, vorrei davvero non doverlo fare.
Ma ho bisogno di ritrovare un po’ di speranza e di autonomia, sapendo che anche se il futuro è incerto, avrò almeno la speranza di tornare a camminare come prima e ritrovare la mia autonomia, smettendo di dipendere completamente dagli altri.

Anche una piccola donazione può fare la differenza nel mio percorso, persino una semplice condivisione.
Se la cifra necessaria per la protesi verrà superata, il resto verrà donato ad AISM, l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla, altra malattia da cui sono affetta che in questi mesi mi ha aiutato in diversi modi, dal prestarmi una carrozzina ad assistermi a livello sociale. Datemi una mano se potete, insieme sono certa che potremmo farcela. Grazie!"