Ciao Beppe, sindaco di tutti. L’uomo che decideva con il sorriso

di Wanda Valli

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Guardava Genova, Beppe Pericu, magari un pezzo di città con fabbriche chiuse o porto quasi in blocco e diceva: "È difficile ma essenziale". E poi, con quel sorriso aperto, cordiale, guardava chi gli parlava e si capiva che aveva già deciso. Che nella testa le idee avevano, come sempre, trovato il loro ordine, e che ancora un’altra parte della città, avrebbe trovato la sua nuova vita. Grazie a lui, al sindaco Giuseppe “Beppe” Pericu, docente di diritto e poi, era il 1997, deputato quasi per caso. E dopo ancora sindaco. Anzi il sindaco. Amatissimo. Perché aveva conquistato tutte le generazioni: dai portuali ai metalmeccanici che si vedevano sfilare via dalla decadenza posti di lavoro, e poi gli altri, la gente del Comune, i negozianti. Tutti.

Un altro miracolo del laico e socialista Pericù. Già, con quel cognome che a Genova per almeno un anno nessuno o quasi pronunciava con l’accento giusto, un cognome che fin dal liceo – raccontò il Sindaco una volta – doveva correggere fingendo che non gli desse fastidio. Il padre era sardo, la madre ligure. Lui Genova l’ha amata, rivestita di abiti nuovi che facevano ricordare per bellezza e sontuosità, Genova, regina dei mari e dei commerci, la città dei Dogi a incominciare da quello che Doge non è mai stato, per scelta: Andrea D’Oria. Ma sempre con il consenso che a lui sembrava venir facile. Anche nelle scelte più delicate. Una su tutte, nel 2004 anno di Genova città della cultura. Il cuore della città, piazza De Ferrari, viene ridisegnato, perché il catinone, la fontana che domina al centro, si trova circondato da un gioco di zampilli d’acqua che, subito, lascia un po’ sconcertati. Perché è meno elegante. Vero sindaco? "Ma no guarda, sembra un’altra piazza, più grande" dice e sorride, una piazza dove lui accetta che venga modificato, anzi di fatto creato, un altro ingresso al Ducale. Altra sua creatura: la casa della cultura che affiderà alle mani e alla solida cultura di Luca Borzani.

Adesso, vederlo riposare per sempre a palazzo Tursi fa tornare alla mente come ci è arrivato, chi era. Si deve partire dal 1997: elezioni, i Ds candidano Giuseppe Pericu allora sconosciuto ai più, socialista laburista. Il momento è la Festa dell’Unità. Lui sale sul palco e sembra smarrito, dice quattro parole, lascia molti dubbi: quell’intellettuale come se la caverà con un mondo dove ancora la classe operaia poteva vivere dignitosamente? Due settimane forse meno, ecco il vero Pericu, un signore in giacca e camicia che davanti a un grade supermercato in Valbisagno distribuisce volantini, ferma le signore, si presenta, sorride. Sembra non abbia fatto altro nella vita.

Eletto sindaco è Genova che sorride, Genova che il Prof ama, e cambia, in meglio, pezzo a pezzo. La fa rinascere, fino a quel G8 del 2001 che aiuta la città, ma porta tragedie. E il sabato è ancora Beppe Pericu, in giacca bianca perché dopo ha la cena in Prefettura, a non staccarsi dai cancelli in piazza d Dante: di qua lui di là i giovani che vogliono il corteo vietato. gli animi sono tesissimi. il Sindaco tratta e quasi riesce: finché lo fermano e lui, cupo, risale via Roma con la giacca svolazzante. Ora tocca a noi, a tutti noi che lo abbiamo stimato, rispettato, tocca a noi salutarlo. Tocca a noi sorridere come avrebbe fatto lui. E pensare, camminando per la città, quanto Genova gli debba. In amore e rispetto. In resurrezione. Sindaco grazie ancora. Di tutto.