Sampdoria, Ferrero non si rassegna e attacca Manfredi: "Sono inc...!"
di Stefano Rissetto
"Le mie quote vendute a pochi soldi, mi hanno tolto la Samp"
“Un altro dolore. Non ci ho capito niente e mi sono trovato in una disgrazia. Poi Dio è grande e tutti hanno capito che non avevo fatto niente. Le mie quote vendute a pochi soldi, mi hanno tolto la Samp. E quel Manfredi oggi fa il figo… sono inc***ato: vedere la Samp in B per me è un grande dolore”. Così Massimo Ferrero, dal 12 giugno 2014 al 6 dicembre 2021 presidente della Sampdoria, a TMW.
Da quando è stato costretto dalle circostanze a lasciare prima la presidenza e poi la proprietà della Sampdoria, che gli era stata regalata rifinanziata dalla famiglia Garrone-Mondini, Ferrero le ha tentate tutte per rientrare nel mondo del calcio che gli aveva offerto tra le altre cose anche una visibilità insperata negli anni del cinema: dalla comparsata al Festival di Sanremo fino alle visite in Vaticano (nella foto, l'udienza pontificia del 5 novembre 2016) Fin da quando stava a Genova, spalleggiato nella tarlatura del Doria dalla faconda corrente dei groupies del "come gestione non puoi dirgli niente", aveva tentato di seguire le orme di altri presidenti multiproprietari come Gaucci, Sensi e De Laurentiis, cercando di rilevare il Lecce e il Palermo allora in ambasce nelle serie minori. In Salento non se ne era fatto niente, nel capoluogo siciliano l'allora sindaco Leoluca Orlando aveva disegnato un bando "contra personam", che sembrava fatto apposta per precludere ogni ambizione al Viperetta. Un legame di collaborazione era stato stretto in compenso con la Vis Pesaro.
Scalzato dal duo Radrizzani-Manfredi, Ferrero si è quindi interessato a Perugia e Ternana, provocando rabbiose sollevazioni nelle due tifoserie umbre, incanaglite anche dalla scelta poco cauta di presentarsi in pochi giorni prima sull'una e poi sull'altra piazza, notoriamente divise da una cannibalesca rivalità. Se n'è poi sentito riparlare a proposito di altre società in cerca d'autore, dalla Reggina al Bari fino alla Paolana, club dilettantistico cosentino, attivo nella stessa città della Procura della Repubblica che, avviando a suo carico un'inchiesta per reati societari, aveva di fatto concausato la "deposizione" dalla presidenza del Doria. Nei giorni scorsi, il ritorno di fiamma per la "Maggica", a una cui festa andò con sciarpa giallorossa quando ancora guidava il club blucerchiato. Non avaro di punzecchiature contro James Pallotta ("Pallotta è un miracolato, è padrone di un sogno più grande di lui. Un imprenditore top? Ma prima della Roma chi c****o lo conosceva? Ha chiesto 800 milioni a chi voleva la Roma? Affari suoi. Dicono che il prezzo di una società equivalga a 1,8 volte il fatturato, fate i conti. La Samp fattura 100, la presi a 40. Prima o poi gliela soffierò, la Roma", dichiarazione del 10 agosto 2018 al Corsport), quindi la recentissima offerta di "consulenza" alla famiglia Friedkin, oggi proprietaria della società giallorossa: "Cari Friedkin, la Roma va rifondata. Basta mettere toppe e buttare soldi su questa squadra, sulla società. Io mi sono messo contro tutta la Sampdoria perché fin da bambino ho vissuto e tifato la Roma. Quella di Di Bartolomei, di Liedholm, sono cresciuto nella curva della Roma, il mio cuore pulsa giallorosso. Ma oggi sono molto incazzato, perché caro presidente Friedkin noi siamo molto felici che lei è venuto a investire nella Roma, ma siamo dispiaciuti perché evidentemente è contornato da cattivi consiglieri. La Roma va rifondata. Lei non ha speso 100 milioni, li ha buttati. Perché ha vicino gente forse poco intenditrice di questo calcio. La Roma non è un parlamento europeo, non può essere gestita da direttori stranieri, come Monchi o Ghisolfi, che non conoscono il mondo romanista. Il calcio deve essere seguito da vicino. Formiamo il nuovo governo Roma, basta buttare soldi. Basta direttori sportivi stranieri come Monchi e Ghisolfi. Con tutte le eccellenze che abbiamo dobbiamo per forza farci del male prendendo gente che ha fatto spendere soldi a vuoto? Non siamo l’Onu, siamo la Roma. Lei, presidente, che va rispettato per quanti soldi ha messo nella Roma, non può venire a fare l’americano a Roma. Io non voglio soldi e non cerco lavoro, voglio solo che ci regali un sogno. Ho fatto 14 anni alla Sampdoria (in realtà poco meno di 9, n.d.r.) con risultati pazzeschi. Il calcio è amore, passione. Lei vuole lo stadio sold out? Ci regali il calcio. Oggi ci ha regalato solo pallone, pallonate e pallonari, e non per colpa sua. Ho 74 anni, non voglio denaro, voglio regalare un sogno a tutti i miei lupacchiotti. Siamo romani, romanisti, e amiamo la Roma, se si fa consigliare con meno soldi e più amore, vivrà tutti i giorni con grande soddisfazione. Vorrei incontrarla, caro presidente Friedkin: per amore della Roma prendo anche il primo volo e vengo a New York: salviamo la Roma” (dichiarazione a LaPresse del 29 ottobre scorso).
Nel suo intervento per TMW, Ferrero tuttavia continua a guardare anche al Palermo: “Il Palermo quando è ripartito si è affidato ad un signore che di calcio sotto il profilo tecnico conosceva ben poco. Nel calcio bisogna avere idee, competenza. Facendo un discorso in generale e più ampio dico che se non ci sono le competenze unite alla passione si fa fatica”.
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