Morte Martina Rossi, si costituiscono gli aggressori. Il papà Bruno: "Non dovevano restare impuniti"

di Giorgia Fabiocchi

"Aver saputo che sono finiti in carcere mi tranquillizza perché queste persone non devono restare fuori dal carcere, con il rischio che possano anche scappare"

"Mi sono sorpreso quando mi hanno comunicato che si sono consegnati in carcere, e dopo aver pensato a come hanno nascosto la verità per anni, dal primo momento in cui hanno fatto del male a Martina, ho capito che doveva esserci un'altra spiegazione sotto". Con queste parole, chiare e nette, ma allo stesso tempo sempre colme di dolore Bruno Rossi, il papà di Martina, ha commentato ai microfoni di Telenord la scelta di costituirsi di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi. "Poi ho capito - prosegue Bruno - che il giudice di sorveglianza non li aveva assegnati ai lavori socialmente utili, bensì dovevano entrare in prigione e così hanno scelto il carcere di Arezzo (loro città di origine ndr), ma il fatto che siano in prigione per me è un fatto di tranquillità, anche perché la gente che fa così del male se poi può girare impunita, e magari scappa anche, andava inseguita in giro per il mondo e questo sarebbe stato una beffa".  

Papà Bruno riesce, in maniera molto lucida, ad analizzare la differenza tra il dolore provato da una mamma e quello provato da un papà di fronte a una tragedia di questa portata. "La mamma non c'è un minuto, un attimo della giornata, dove il pensiero che qualcuno possa aver fatto del male alla figlia la abbandoni, non c'è niente che possa alleviare un dolore simile; per il papà forse è un po' diverso, forse perché i figli non nascono in noi. Io e Martina eravamo in un grado di confidenza assurdo, e questo rapporto così bello e importante che ci hanno tolto mi ha comunque tenuto legato a questo mondo perché un altro papà non può, non deve vivere tutto quello che abbiamo vissuto io e mia moglie".