Pd, la faticosa marcia verso le primarie

di Fabio Canessa

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Il Punto di Paolo Lingua

Pd, la faticosa marcia verso le primarie
Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, ha deciso di cominciare la sua (tormentata) marcia verso le primarie del Pd della prossima primavera proprio dalla Liguria. Perché? Una risposta diretta e concreta non la avremo mai al di là di dichiarazioni generiche e diplomatiche, ma è probabile che l’aspirante segretario, conscio d’un cammino in salita, abbia deciso di partire proprio da una regione disastrata – in termini politici – da parte del suo partito per decenni patrone assoluto del territorio e poi incappato in una serie di sconfitte una più cocente dell’altra. Oggi in Liguria, tramontata con la inaspettata sconfitta alle regionali del 2015, la leadership di Claudio Burlando, il Pd è retto da una comitato fragile di colonnelli che vivono di riflesso sul loro territorio, provincia per provincia, gestendo con fatica, in regione e nelle varie amministrazioni comunali, una affannata opposizione. La fragilità del Pd nasce, in particolare, di non riuscire a sfruttare gli errori o i limiti delle attuali amministrazioni di centrodestra, ma soprattutto le contraddizioni della politica del governo giallo-verde. Oggi gli errori, le impuntature, i passi indietro e le contraddizioni del governo, e in particolare dei ministri del M5s, sono vistosi ed evidenti. Eppure il Pd fa fatica a sfruttarli per dar vita a una opposizione implacabile che sarebbe favorita anche dalla situazione critica del territorio dopo il crollo del Ponte Morandi. I leader locali, come si è capito già, si divideranno in gruppetti (Orlando, Pandolfo, la Pinotti, Tullo con Zingaretti;  Raffaella Paita, Vito Vattuone e Pippo Rossetti, vicini a Renzi, sosteranno Martina) più qualche posizione isolata con candidati minori. Come finirà è tutta da verificare, ma la sensazione generale è che, salvo colpi di scena, il partito, che cambi o non cambi nome, difficilmente uscirà dalla zona grigia. Zingaretti ha negato di voler aprire a una alleanza con il M5s e ha ridimensionato il progetto di riassorbimento della componente uscita prima delle elezioni per dar vita al movimento Liberi ed Eguali. La sinistra di Pier Luigi Bersani, Pietro Grasso, Laura Boldrini, Massimo D’Alema e dei vari Speranza, Fratoianni ecc. non ha dato grandi risultati elettorali e i sondaggi la danno ancora in netto calo con difficoltà a raggiungere il quorum elettorale. Zingaretti ritiene, anche se è molto prudente, di tentare un recupero elettorale puntando sui delusi del M5s, molti dei quali sono ex elettori del Pd. Ma gli scontenti dei “grillini” semmai non sono tutti elettori moderati (che semmai guardano con più interesse la Lega): molti sono vicini all’ala più radicale, delusi dei compromessi governativi. Non è facile per Zingaretti, se vincerà le primarie, un recupero cospicuo di suffragi. Poi resta la grande incognita, appesa come una spada incandescente su tutto il partito, quella che sarà, nei prossimi mesi , la scelta strategica di Matteo Renzi. L’ex premier, pur pesantemente sconfitto al referendum e responsabile di alcuni gravi errori strategici dalla eccessiva personalizzazione del proprio ruolo sino alla rottura del “patto del Nazareno” con Berlusconi, controlla ancora una larga parte del partito e di parlamentari. Farà votare i suoi fedeli, pare, per Martina  al fine di condizionare e ridimensionare Zingaretti, ma poi pensa davvero a un nuovo partito di area “lib-lab” per pescare tra gli elettori dell’area del centro nel caso d’un crollo di Berlusconi, recuperando i “liberal-moderati” poco inclini a essere assorbiti da Matteo Salvini? Il Pd oggi è difficile da interpretare: farebbe fatica anche la Sibilla Cumana. E’ una ragnatela fragile in un contesto politico generale più fragile ancora, ma dove è difficile interpretare un elettorato travolto da un qualunquismo diffidente, deluso e populista. Un rivo sotterraneo  che attraversa l’Europa e che in Italia ha forse la corrente più impetuosa.