La confusione mediatica sulla sorte di Carige

di Paolo Lingua

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Il Punto di Paolo Lingua

La confusione mediatica sulla sorte di Carige
La banca Carige naviga in un confuso e impraticabile “mar dei Sargassi”, come si diceva ai tempi di Cristoforo Colombo e delle prima scoperte geografiche. Ogni giorno, a stare alle fondi dei media sempre meno attendibili, cambiano le prospettive. Adesso veniamo al dunque: il fondo “Blackrock”, che quasi emerso dai fondali marini sembrava destinato a diventare i socio di riferimento se non addirittura un potenziale azionista di maggioranza, avrebbe (il condizionale è d’obbligo) invece cercato di guadagnare tempo. Dalla metà di aprile si è scesi a fine maggio e forse anche oltre. La notizia emersa oggi contraddice tutto quello che è stato scritto sino a due giorni fa. Meno male che il titolo è sospeso da molte settimane in Borsa, altrimenti si potrebbe anche parlare d’un clima da "aggiotaggio". Dal punto di vista mediatico da tempo non si tiene conto della delicatezza della situazione della Carige, di cui si parla e si scrive come se si trattasse di banchi di frutta d’un mercato all’ingrosso. La realtà concreta è assi complessa e non si può risolvere con giochi apparentemente tecnici basati su titoli, azioni, fondi che fanno il gioco dei quattro cantoni. La banca ha un suo potenziale sul territorio della Liguria, ha una sua ricchezza patrimoniale e immobiliare, ma deve pagare prezzi alti per errori del passato oltre che per azioni di gestione forse non tutte immacolate. Ma per chiudere la partita occorre, quasi certamente, un accordo tra mi potenziali partner come appunto il fondo Blackrock e l’azionista di riferimento, ovvero il gruppo Malacalza che, per ora, detiene circa il 28% del pacchetto azionario della banca. La soluzione più logica e, anche la più razionale, della crisi che da cinque anni tartassa l’istituto di credito più nobile della storia della Liguria, è che arrivi a un accordo tra il potenziale nuovo partner e il gruppo Malacalza. L’alternativa è il caos o una crisi maggiore dalle conseguenze imprevedibili. E anche, a questo punto, la soluzione che tutti sinora hanno respinto, ovvero la statalizzazione dell’istituto. In realtà la Carige è un’isola in mezzo al mare sulla quale s’addensano nuvole basse procellose. D’intorno si cerca di diffondere, più o meno in buona fede (ma il più sovente in mala), notizie che potrebbero indurre forzare le situazioni a vantaggio di chi vorrebbe impossessarsi del “tesoretto” della banca senza rimetterci troppo, anzi a spese di qualche altro. Poi ci sono piccoli e grandi misteri: quale è, per esempio, la strategia della cosiddetta “trimurti” dei commissari della Carige? Puntano a un accordo esterno che modifichi l’assetto di controllo della banca oppure mantengono un dialogo sotterraneo con il gruppo Malacalza per arrivare a una soluzione di compromesso che metta al sicuro la banca e consenta ai Malacalza di non rimetterci più di quanto sinora hanno investito? Non va dimenticato che alla vigilia di Natale, con una mossa teatrale, durante l’assemblea degli azionista furono proprio i Malacalza a bloccare l’aumento di capitale motivandolo per via della mancanza della presentazione d’un piano industriale di ripresa della banca. Di qui il commissariamento deciso dalla Bce. Da mesi un cupo silenzio – su quelle che sono le reali strategie – avvolge la banca, con l’eccezione, come già detto, di uno sfarfallio mediatico in continua contraddizione alimentato appunto da voci esterne interessate a soluzioni differenti e contrastanti. Sipario d’acciaio calato sul clan dei Malacalza. In difesa ingrugnata oppure al lavoro per trovare una nuova soluzione dell’assetto dell’Istituto? E quanto durerà il silenzio? Forse oltre i tempi di cui si accennava poco sopra: Si potrebbe andare all’autunno o alla fine dell’anno. Non siamo di fronte a una vicenda “facile”. Inutile illudersi.