Importante riformare la gestione dei porti

di Paolo Lingua

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Importante riformare la gestione dei porti
La Regione Liguria, come del resto altre amministrazioni regionali italiane, sta insistendo con il Governo e con il Parlamento per una modifica legislativa assai importante e delicata: chiede che siano trasferite alla gestione regionale tutti i demani portuali e tutta la competenza legislativa in tema di porti. La richiesta è, di fatto, un passo avanti rispetto alla riforma, assai lunga e tribolata negli anni precedenti (ma sarebbe meglio parlare di decenni) e poi effettuata dal ministro Del Rio nel corso dei governi di centrosinistra. La riforma d Del Rio è stata, a dirla franca, meglio di niente. Ha quasi dimezzato il numero dei porti italiani che erano un caso unico in tutta Europa e ha dati alle Autorità Portuali maggiori margini di azione rispetto al passato quando erano prigionieri d’una delle più complicate e burocrazie. Ma occorre dire con la massima chiarezza che, almeno dal dopoguerra, l’Italia non ha considerato la strategia portuale come uno degli elementi determinanti della sua economia e del suo sviluppo. Molti porti, specialmente quelli che  sono di modeste dimensioni e di limitato traffico e collocati in buona parte nel Sud e nelle isole, sono stati considerati, nella Prima Repubblica, punti di politica paternalistica per distribuire posti di lavoro e favorire lavoro locale, senza puntare alle strategie dello shipping internazionale in continuo cambiamento. Oggi, nell’economia dei trasporti, le strategie sono in continua  e vorticosa evoluzione, una situazione mondiale alla quale si sono da sempre agganciato gli scali del Nord Europa che hanno avuto, con gestioni di dimensione privatistica e manageriale, una netta prevalenza sul sistema dei traffici del Mediterraneo che pure, non foss’altro che geograficamente, sarebbe invece avvantaggiato. La proposta che parte dalla Regione Liguria porterebbe come conseguenza un diverso assetto  una diversa filosofia amministrativa e di governance da parte delle Autorità Portuali che potrebbero essere anche, con un ulteriore assetto legislativo, ridotte di numero e ridisegnate sul piano strategico. Il discorso è indubbiamente interno ai porti che però potrebbero superare tanti ostacoli e tanti veti incrociati per la redistribuzione di armatori, terminalisti, operatori passeggeri, container e merci varie puntando a scelte di sintesi, agganciate con le esigenze d’un mercato in continua evoluzione. E’ una dimensione della quale anche i vecchi assetti sindacali, sovente ancorati nei porti a cultura corporative, dovrebbero adeguarsi. La gestione della Regione dovrebbe portare a snellimenti e a una semplificazione normativa e organizzativa interna. Il porto dovrebbe diventare una sorta di società per azioni pubblica: L’elemento pubblico è importante perché nelle scelte deve prevalere l’interesse collettivo die cittadini e del territorio, ma la mentalità “privatistica” dovrebbe essere la regola per le decisioni operative. Siamo di fronte a quella parte della agognata riforma rimasta purtroppo a metà strada nei precedenti governi. Quali sono le possibilità di farcela a cambiare ancora anche al fine di recuperare mezzi economici che i porti incassano ma poi non trattengono dovendo “girarli” allo Stato. La questione è dunque un salto di qualità, una riforma radicale che, però, in questi termini porterebbe grandi vantaggi agli scali, in particolare a quelli che hanno un preciso destino strategico, segnato dalla storia e dalla geografia, come Genova.