Genova, in cento in piazza contro le chiusure: "Libertà, libertà..."

di Michele Varì

Ecco il fronte del no alle chiusure e agli obblighi, negazionisti, ma anche commercianti esasperati e cittadini che chiedono una sanità migliore

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Ristoratori e baristi che avevano appena chiuso i loro locali, ma anche e soprattutto negazionisti, paladini della sanità pubblica, studenti, mamme di studenti che non credono che la terapie intensive si stiano riempendo, ultrà, simpatizzanti di destra e forse pure di sinistra, confusi che vediamo agli angoli del centro a chiedere l'elemosina.

C'è tutto questo nel crogiolo di manifestanti che sono scesi in piazza per assediare il palazzo della Regione Liguria di piazza De Ferrari e marciare su quello dello Stato padrone e cattivo (la prefettura). Assedio e marcia e poi dietrofront, con ombrelli e il megafono.

Il collante che tiene insieme tutti la rabbia contro la "dittatura sanitaria", contro uno "stato che ti uccide" con i decreti, le tasse, pure le partite di calcio a porte chiuse, come ha argomentato un ultrà, e poi c'erano curiosi, un manipolo di migranti lì per caso e qualche ex gilet giallo o arancione e pure ex forconi, insipide minestre riscaldate, queste.

La polizia ha osservato la manifestazione presidiando Regione e prefettura: con il reparto mobile e gli investigatori della Digos che si aspettavano il sitting, il timore era ed è che gli scontri di Napoli possano avere un seguito anche a Genova.

Per questo i detective controllano con attenzione i sociali, guarda caso dove la manifestazione è nata, come ammesso la donna che l'ha organizzata, Maura Granelli: "Gli italiani non ne possono più, qui ognuno ha un suo motivo per protestare, io è dalla scorsa estate che protesto contro questa dittatura sanitaria. Le morti? Si muore anche di malasanità, cancro, incidenti, le cifre dei decessi non sono vere" buttà lì incurante del cronista che pure le dice che quelle sono vere, accertate, come le code dei carri funebri filmate da Telenord nei medi di lockdown. 

La manifestazione è un assedio urlato e pacifico alla Regione, quasi un'occasione di outing collettivo, per gridare che lo stato non può fare quello che vuole, e serve "libertà, libertà".

Lontano dalle telecamere un paio di manifestanti ammettono con tono sommesso che loro sono alla fame: "Avevamo un lavoro in nero, ora, dopo il lock down, neanche questo. Ecco perché siamo qui, non basta?".

La manifestazione si scioglie con qualche ragazzotto con la felpa sulla testa a mo' di casseur che si imbuca nei vicoli del centro storico delle Erbe urlando al cielo e rifilando calci verso le saracinesche abbassate.